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Scott McTominay è il giocatore simbolo di questo campionato, non soltanto per i suoi gol quasi sempre pesantissimi che hanno nascosto i problemi in attacco del Napoli, ma anche per il fatto di non essere stato una scommessa, una scoperta, un colpo di genio, un capolavoro di scouting, un sottovalutato. Sottovalutato da Ten Hag, forse, visto che nell’ultima stagione nel Manchester United era stato in panchina circa metà delle partite, nonostante fosse amatissimo dai tifosi (uno dei pochi cresciuti nel settore giovanile, fin da quano aveva 5 anni, inglese in tutto tranne che calcisticamente, avendo scelto il passaporto del padre) e certo non fosse peggio di andava in campo. Semplicemente il Napoli ha creduto in un giocatore di alto livello, ancora lontano dalla fine della carriera e senza fare giochetti sulla scadenza o con il procuratore lo ha pagato 30 milioni di euro, la stessa fascia di prezzo di Buongiorno, Lukaku e David Neres. Poi gli errori si possono fare anche a questo livello di spesa, ma sono pochi: negli ultimi anni, concentrandoci sul Napoli, viene in mente soltanto Lindstrøm che peraltro poi all’Everton prima dell’infortunio ha anche fatto vedere qualcosa. Da ricordare che Brescianini, cioè il giocatore che il Napoli aveva trattato prima di McTominay e poi preso dall'Atalanta, sarebbe costato un terzo. Non è che i soldi siano la misura di tutto, come dimostra proprio il Manchester United, ma qualcosa dicono.
Fra il Napoli e il suo quarto scudetto c’è soltanto la prossima partita a Lecce, l’unica delle ultime quattro contro un’avversaria motivata. Di sicuro non c’è più l’Inter, ben al di là dei 3 punti di distacco, un’Inter che in una settimana ha pagato il conto di una stagione massacrante giocata di fatto con 14 giocatori, dei quali alcuni insostituibili. Colpa di dirigenti, Marotta in testa, che a gennaio non hanno trovato sul mercato nemmeno un mestierante sano come riserva delle due punte. Poi fa parte del gioco mediatico dare le colpe all'allenatore, ma è con tutta evidenza un gioco truccato. Fra gli insostituibili c’è Thuram, indisponibile nelle ultime 3 partite con Bologna, Milan e Roma, tutte perse anche se in modo diverso, in un misto di calo fisico, infortuni e anche di una notevole piattezza emotiva, come se la squadra, prima ancora del suo allenatore, avesse deciso di puntare gli ultimi gettoni di energia tutti sulla Champions. Certo è che Svilar ha corso meno rischi di Ravaglia e di Maignan. E adesso nella semifinale europea un Barcellona ugualmente stanco ma galvanizzato dalla pazzesca, per il ritmo oltre il videogioco, finale di Coppa del Re con il Real Madrid. Nel campionato del senno di poi lo scriviamo prima: alzando la Champions o la Coppa del Mondo stagione leggendaria, non alzandoli buona stagione con tantissimi rimpianti. Il crollo non è comunque casuale, perché da un mese e mezzo, anche quando ha vinto e anche quando è stata al completo, l’Inter ha arrancato (tranne che a Monaco). Come del resto il Napoli, che però ha avuto soltanto il campionato grazie, se così si può dire, a Garcia, Mazzarri e Calzona.
Il ventesimo campionato vinto dal Liverpool non è purtroppo un buon pretesto per parlare di Federico Chiesa, che in questa Premier League ha giocato 33 minuti ufficiali più qualcuno di recupero, con i primi 4 mesi di fatto persi per i problemi muscolari e gli ultimi per scelta di Slot, che in pratica da gennaio lo porta in panchina senza quasi mai farlo giocare, spiegando onestamente che la sua è una scelta tecnica visto che preferisce i vari Salah, Diaz, Nunez, Diogo Jota e Gakpo. Non è un complotto contro Chiesa, che è stato l’unico, ma davvero l'unico, acquisto del Liverpool nel dopo Klopp, e nemmeno un problema di ambientamento (Chiesa parla un inglese perfetto), ma una triste realtà: anche nel calcio di oggi dopo un infortunio gravissimo come quello del 9 gennaio 2022 in Roma-Juventus, nessuno torna ‘più forte di prima’, come vuole una certa retorica superomistica, e nemmeno uguale a prima. Anche in questo caso il cattivo non era Allegri.
Interessanti movimenti a Milano, dove venerdì l'Alcione ha chiuso il suo primo campionato di Serie C sfiorando i playoff e mettendo le basi per un futuro che ha come punto d'arrivo la Serie B. Dopo le dimissioni di Marcello Montini a capo del club è rimasto Giulio Gallazzi, con la linea che per forza di cose non può essere londinese: un tifoso del Fulham non ha certo il Chelsea come 'prima squadra' mentre realisticamente chi segue l'Alcione parte come tifoso di di Inter o Milan, al di là del fatto che attualmente le partite casalinghe vengano giocate al Breda di Sesto. Con il nuovo stadio in arrivo e in attesa della B, il titolo di terza squadra di Milano ha tanti aspiranti: era l'ambizione sbagliata del Monza, è quella tenuta nascosta dal Como, come numeri del tifo potrebbe diventare fra qualche anno in una logica americana quella della Juventus. Ma rimane il fatto che la sede dell'Alcione sia nel comune di Milano, a poche centinaia di metri da San Siro. Le carte in mano agli Orange da cui sono usciti Beppe Dossena e Rovella sono buone, ma una base di tifo si conquista negli anni.
stefano@indiscreto.net
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