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Una telenovela in stand-by, i nostalgici dell'Arabia e il futuro con Gravina
Nemmeno Osimhen e De Laurentiis avrebbero potuto prevedere, fino a due giorni fa, una stagione di transizione al Galatasaray di quello che rimane uno degli attaccanti più forti del mondo. Certo in Turchia, e in Europa League, sarà difficile aumentare il proprio valore di mercato e quindi nell’estate 2025 lo schema sarà quello degli ultimi tre mesi: un giocatore con il contratto che scade due anni dopo (quello attuale sarà infatti prolungato fino al 2027), che vuole giocare in un grande club europeo ma non fino al punto di dimezzarsi l’ingaggio e che pensa sia presto per seppellirsi in Arabia, un Napoli che non vuole venderlo per molto meno della clausola di rescissione. Che adesso è passata da 130 a 80 milioni di euro, dettaglio che potrebbe far durare l’esperienza turca di Osimhen non più di 4 mesi. Chi ha vinto, in definitiva? Più Osimhen, che ha il contrattone a garantirlo ed una clausola più bassa, di un De Laurentiis che pensava di finanziare il mercato con la sua cessione e che si consola risparmiando i 18 milioni lordi di ingaggio annuale. Ma questi discorsi da commercialisti di Google scompaiono di fronte a quello calcistico: il Napoli rinuncia a un campione che a dicembre compirà 26 anni per giocare con un attaccante un po’ meno forte che ne ha già compiuti 31. Senza andare alla preistoria, l’anno scorso Osimhen ha segnato in serie A un gol ogni 133 minuti nel Napoli di Garcia-Mazzarri-Calzona, mentre Lukaku uno ogni 203 nella Roma di Mourinho e De Rossi: cifre da accompagnarsi all'ossrevazione dello stato di forma, quello di Osimhen non possiamo saperlo ma quello di Lukaku è da Lukaku post-mercato, con una stagione in più dietro le spalle. Non era nemmeno quotato dai bookmaker lo scenario mediatico, con il giocatore fatto passare per avido e De Laurentiis, che semplicemente (e giustamente, perché ognuno fa i propri interessi) per quello che ne ha fatto una questione di principio. Insomma, tutto rimandato: tre mesi persi divenrteranno come minimo sette mesi persi, da tutti.
Chi si illudeva che gli arabi continuassero a fare i ricchi scemi, secondo l’espressione coniata da Giulio Onesti per i presidenti della serie A anni Cinquanta, ha avuto nell’estate 2024 un amaro impatto con la realtà. La Saudi Pro League continua comunque a spendere tantissimo, metà dell’anno scorso ma sempre tantissimo. 60 milioni per Diaby, 45 per Simakan, 42 per Toney, 40 per Marcos Leonardo, solo per citare le operazioni più pesanti, ma ormai a cifre quasi da media Serie A. È diventato un campionato appetibile per calciatori senza (o senza più) ambizioni, perché gli ingaggi proposti rimangono enormi (per tornare a Osimhen, l'Al Ahly offriva 40 milioni lordi, cioè quasi netti visto il fisco locale, a stagione), ma molto hype si è perso o non c'è mai stato. Inutile puntare sulle grandi stelle bollite se poi comunque questo campionato fuori dai confini nazionali interessa zero, come è e sarà per un pezzo, fino a quando non ci si inventerà qualche cavallo di Troia tipo una wild card in Champions League. Bravo e furbo, anche fra i club, chi ha sfruttato il 2023. Altra citazione, questa volta di Capello: si possono sbagliare gli acquisti, ma non le cessioni.
Il Gravina di questi giorni a Coverciano ha la testa rivolta alle future riforme del calcio, dal tempo effettivo al VAR a chiamata, come se quello che era in consiglio federale ai tempi di Nizzola, con gli Oasis ancora giovani, fosse un omonimo. Inevitabile il discorso sui troppi stranieri in Serie A (il 63% del totale del minutaggio, ha detto il presidente federale), anche se sullo sfondo rimane una realtà antipatica: ai tifosi interessa molto poco la nazionalità di chi va in campo per la propria squadra e meno che mai l’età. Magari può avere una simpatia teorica per il giovane locale cresciuto nel vivaio, ma la cosa finisce lì. Discorso che all’ennesima potenza vale per i dirigenti dei club, che fanno anche normali calcoli di convenienza: Corvino ha forse qualcosa contro gli adolescenti leccesi? Invece di buttarla sui massimi sistemi bisogna capire perché Francia e Spagna, dove nel 2024 nessuno gioca a calcio in strada, esattamente come da noi, hanno una base di giocatori decenti molto più ampia. Facile la risposta: due federazioni ben diverse dalla nostra, che lavorano molto sull'élite: la Francia in maniera ipercentralista e la Spagna con un modello quasi opposto. Poi i risultati, come Mancini nel 2021 ha dimostrato, possono arrivare lo stesso. Ma la mancanza di una classe media decente è colpa di Gravina e soprattutto, visto che lui è in carica dal 2018, dei suoi predecessori.
stefano@indiscreto.net
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