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Le valutazini di Mourinho e Tiago Pinto, Donnarumma il migliore, il tabellone di Lippi e i moduli di Spalletti
Nel momento delle giuste celebrazioni per Riccardo Calafiori, purtroppo assente per squalifica contro la Svizzera, viene da chiedersi chi sia quel genio che alla Roma lo abbia venduto per 1,5 milioni al Basilea, più il 40% dei soldi della successiva rivendita al Bologna, quindi stiamo parlando di circa 3 milioni in totale. Perché nel calciomercato le mosse giuste hanno tanti padri mentre quelle sbagliate sono orfane. Di sicuro Calafiori, romano e romanista (ma anche se fosse milanese e laziale il discorso sarebbe uguale), nella Roma è stato fra un infortunio e l’altro lanciato da Fonseca, e per qualche partita è stato preso in considerazione (come laterale sinistro, suo ruolo originario) anche da Mourinho, prima che il 6-1 subìto dal Bodø Glimt cambiasse la valutazioni dell’allenatore, che in quell’occasione schierò una difesa a quattro Reynolds-Ibañez-Kumbulla-Calafiori, e che da lì non avrebbe più voluto vedere Calafiori, che infatti due mesi dopo fu prestato al Genoa, dove nemmeno Blessin però lo prese in considerazione. Poi la decisiva stagione a Basilea, la confidenza con una posizione più centrale, il passaggio al Bologna, Thiago Motta, eccetera, fino alla storia di oggi. Chi è dunque che alla Roma è il colpevole del caso Calafiori? Mourinho lo ha bocciato a 19 anni per una partita di Conference League in cui giocarono da cani tutti, Tiago Pinto è però quello che lo ha svenduto. Poi l’attuale allenatore del Fenerbahce e l’attuale dirigente del Bournemouth, al quale viene ormai attribuito (adesso che non è più a Roma) di tutto, hanno fatto anche cose buone: certo Calafiori non rientra fra queste.
Gigio Donnarumma è finora il miglior portiere di Euro 2024, per distacco: la vittoria contro l’Albania salvata all’88’ sul tiri di Manaj, le tante parate contro una Spagna dilagante che hanno limitato i danni e avrebbero fatto passare l’Italia anche come terza, il rigore parato a Modric ed un’altra prodezza contro la Croazia. Eppure i complimenti per lui, artefice primo del trionfo del 2021 insieme a Jorginho, sono sempre a denti stretti, in attesa dell’inevitabile (anche per Jascin) errore. L’altro lato di questa orribile medaglia è la celebrazione acritica di chi viene da una buona stagione in Serie A, che in fin dei conti non vale più di un medio titolare della Svizzera, con tutto il rispetto per Freuler, Aebischer e Ndoye. Barella e Dimarco sembrno gli stessi del campionato? E Pellegrini?
Il luogo comune e la realtà vogliono che il vero Europeo inizi dalla fase a eliminazione diretta, ma a questo giro il dio del calcio ha esagerato, mandando nella parte alta del tabellone Spagna, Germania, Portogallo e Francia, mentre in quella bassa delle favorite della vigilia è rimasta soltanto la pompatissima Inghilterra di Southgate, che in caso di vittoria contro la Svizzera gli azzurri dovrebbero incontrare nei quarti di finale, con il sogno di una semifinale giocabile. Va be’, poi c’è la finale, ma come spesso accade qualcuno fa il lavoro sporco al posto tuo. Per Spalletti una serie di circostanze non lontane da quelle che aiutarono il Lippi 2006, campione del mondo superando due sole avversarie del nostro rango, più che il Mancini 2021 che di avversarie top ne fece fuori tre. Non stiamo dicendo che l’Italia vincerà, visto che il suo livello è quello della Svizzera, ma la fortuna le sta dando una mano.
Lo Spalletti post-Croazia sta facendo discutere più di quello che la sua Italia ha fatto vedere in campo, ma la vera novità non è che trasmetta ansia o che quando la squadra non lo segue guardi per terra ed abbia un linguaggio del corpo imbarazzante (accadeva già a Empoli), ma che l’Italia sia la prima sua squadra in carriera a non avere un’identità tattica precisa. Il 4-3-3 del suo cuore e con cui, è bene ricordarlo, aveva giocato nelle qualificazioni, era stato abiurato già nelle tristi amichevoli del 2024. Poi all’Europeo 4-2-3-1 con l’Albania, modulo riproposto ed abbandonato a partita in corso con la Spagna, chiudendo con una sorta di 4-5-1 per non essere umiliati a centrocampo (missione fallita). Infine con la Croazia un 3-5-2 che finché la partita è stata controllata non è stato male, per arrivare ai tanti ribaltamenti e alla chiusura con tre punte più Zaccagni. Sono gli adattamenti che ogni commissario tecnico deve fare, certo, ma non sono la caratteristiche che hanno portato in alto Spalletti.
stefano@indiscreto.net
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