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Juliano troppo bandiera

Juliano troppo bandiera

Addio ad un mito del Napoli, anche senza scudetti grandissimo in campo e da dirigente vero artefice dell'arrivo di Maradona...

Stefano Olivari

13.12.2023 ( Aggiornata il 13.12.2023 14:42 )

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Il calcio è ingiusto, proprio come la vita di cui è metafora, ed è per questo che Antonio Juliano non ha mai vinto lo scudetto con il Napoli di cui è stato bandiera in campo e poi ottimo dirigente, artefice fra le altre cose dell’arrivo di Maradona nel 1984. Scudetto sfiorato nel 1965-66 con Pesaola allenatore, l’anno del ritorno in A e dell’ingaggio di Sivori e Altafini, nel 1967-68 in una squadra rinforzata anche da Zoff, nel 1970-71 con la difesa blindata di Chiappella e nel 1974-75 con Vinicio in panchina, altri annusati prima della parentesi a Bologna e dello strano rapporto dirigenziale con Ferlaino.

Iniziato nel 1980, venendo nominato subito direttore generale, quindi un incarico totalmente operativo: nel calcio dell’epoca non una rarità pensando a Rivera-Milan, Mazzola-Inter e Boniperti-Juventus… Juliano si rende subito conto che Ferlaino lo ha messo lì per tenere buona la piazza, visto che il club è indebitatissimo ed il mercato quindi impossibile. E allora dopo aver messo in panchina Rino Marchesi si inventa l’ingaggio di un mito della grande Olanda come Ruud Krol, prendendolo in prestito da Vancouver: in pochi mesi a Krol torna la voglia di calcio vero e saluta la NASL, con Juliano che mette il suo presidente di fronte al fatto compiuto e sfiora di nuovo lo scudetto, con una squadra nettamente inferiore a Juventus e Roma. Krol è davvero un’invenzione di Juliano, che ha convinto cinque consiglieri del Napoli a garantire per i 630 milioni di lire dell’acquisto, mentre Ferlaino continua a sostenere che la scelta dell’unico straniero possibile, in quell’anno di riapertura delle frontiere, deve essere un attaccante e che ha già bloccato Paulo Isidoro. Quel Napoli gioca benissimo ma il sogno dello scudetto si infrange sull’autogol di Ferrario contro il Perugia e su varie lotte intestine, che al termine del campionato portano Juliano a salutare Ferlaino.

Inizia per il Napoli un periodo buio, come risultati e come ambiente: il pubblico vuole cacciare il presidente e inneggia a Juliano, cosa che rende ancora più difficile una riconciliazione. Non aiutano gli aerei che passano sopra il San Paolo con messaggi del genere 'Ferlaino vattene, Juliano torna', alcuni dei quali in seguito si scoprirà noleggiati da camorristi. Certo è che il Napoli va male e che il ritorno di Juliano avviene nella primavera del 1983, quando Ferlaino ha fatto un passo indietro e il nuovo padrone del club sembra l’ingegner Brancaccio, che però dopo avere richiamato la bandiera tentenna sul resto. Così dopo alcune settimane di incredibili colpi di scena Ferlaino torna al vertice e Juliano si mette a lavorare con lui. Ingaggia Dirceu, si libera a caro prezzo di Ramon Diaz senza un vero perché (Maradona sembra fantacalcio), e a metà campionato fra tornare Marchesi, al posto di Santin, senza contare tante altre mosse costose che mettono in discussione le sue capacità manageriali.

Juliano sa che c’è bisogno di un grande colpo per invertire il corso della storia e cambiare lo status del Napoli: non si vergogna nel chiedere a Platini se sarebbe interessato a lasciare la Juventus, ma soprattutto intuisce prima degli altri che la crisi fra Maradona e il Barcellona è pesante, e che il miglior giocatore del mondo accetterebbe qualsiasi buona proposta pur di lasciare la Catalogna. All’insaputa di Ferlaino va tre giorni a Barcellona ed entra subito in grande sintonia umana con Maradona, parlandogli di soldi ma anche del mito che potrebbe diventare a Napoli. Appena la notizia diventa di dominio pubblico Ferlaino manifesta la sua contrarietà ed il presidente federale Sordillo addirittura la sua ostilità, ritenendolo un acquisto fuori portata. I fatti, dopo una trattativa estenuante e tuttora piena di misteri, diranno altro: Ferlaino rinuncia ad acquistare mezza Inter (no a Serena, Muller e Beccalossi, arriverà solo Bagni e solo a causa del litigio con Pelleggrini) e punta tutto su Maradona. Il resto è storia, e della storia fa parte anche il terzo ed ultimo addio di Juliano al Napoli, a metà del 1985: è arrivato Italo Allodi, a Ferlaino piace Moggi che però arriverà fra due anni, in ogni caso le bandiere sono ingombranti e questo discorso non vale soltanto a Napoli, visti quanti grandi ex hanno anche oggi un ruolo importante in Juventus, Inter, Milan, Roma, Lazio e Fiorentina (risposta esatta: nessuno). Indiscutibile come calciatore, Juliano è stato un grande manager o un grande ex presuntuoso? Il personaggio era divisivo, ma certo aveva una visione del Napoli ben chiara ed anche giusta: pochi campioni, quelli consentiti dal budget, attorno a cui far crescere una classe media.

Lungo e amarissimo il rapporto con la Nazionale, durato 10 anni e… 16 minuti. Quelli totali giocati in tre mondiali in cui fu convocato, avendo la sfortuna di incrociare Bulgarelli, De Sisti, Mazzola, Rivera e altri, non tanto per questioni tattiche (era un regista, ma aveva il fisico per fare anche altro) quanto per motivi di leadership e spogliatoio, per non dire (e Juliano lo diceva apertamente) di peggio. 16 minuti meno famosi dei 6 di Rivera, ma sempre contro il Brasile, entrato al posto di Bertini per uno di quei ragionamenti geopolitici che allora andavano di moda. Certo ci sono le gemme dell’Europeo 1968 e del secondo posto mondiale del 1970, medaglie poi rubate dalla sua villa a Posiliipo, ma quelli erano tempi in cui giocare al Napoli era dal punto di vista mediatico un danno. Anche se va detto che il napoletanissimo Juliano più volte rifiutò trasferimenti che avrebbero arricchito la sua bacheca, primo fra tutti quello al Milan di Rocco. Una bandiera, Antonio Juliano, di quelle amate dai propri tifosi e da quelli avversari. Meno da chi ci mette i soldi o usa il calcio per vincere su altri tavoli. 

stefano@indiscreto.net

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