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Bentornato Walter© LAPRESSE

Bentornato Walter

Il nuovo Napoli di Mazzarri, l'Italia di Wembley, il marketing del Como e i nemici di Lazio-Roma. 

Stefano Olivari

14.11.2023 ( Aggiornata il 14.11.2023 16:34 )

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Il ritorno di Walter Mazzarri sulla panchina del Napoli è un autentico colpo di genio di De Laurentiis, che lo ha salutato sui social network con un 'Bentornato Walter', ma anche in fondo una scelta logica: fallita la strada del mestierante (nell’accezione positiva, perché lui rimane un buon allenatore) alla Garcia, difficile quella dell’allenatore da progetto (Conte non vuole salire in corsa, ma più che altro sta aspettando segnali da Milano e Roma), incerta quella dell’emergente alla Tudor che non accettava un contratto di 7 mesi, non rimaneva che l’usato sicuro che Mazzarri rappresenta agli occhi dei napoletani e dei giocatori. A 62 anni, due meno di Spalletti, Mazzarri può dire di avere nella sua carriera ottenuto sempre il massimo dalle squadre che gli hanno messo a disposizione, tranne che al Cagliari. Inutile ripercorrere la carriera di un allenatore così famoso, utile ricordare che il Napoli di De Laurentiis il salto di qualità lo ha fatto proprio con Mazzarri, arrivato nel 2009 al posto di Donadoni, con due qualificazioni dirette alla Champions, la vittoria in Coppa Italia ed un gioco che sfruttava le caratteristiche di Cavani e Lavezzi (nell’ultima stagione al posto dell’argentino Pandev o Insigne), con un 3-4-Hamsik ed attaccanti perfetti per il contropiede. Non si può dire che De Laurentiis e Mazzarri nel 2013 si fossero lasciati bene, con Mazzarri che andò ad allenare una delle peggiori Inter della storia moderna, ma è storia di 10 anni e meno importante dei ricordi belli. Da notare lo sdegno di molti che concepiscono l’esistenza soltanto di Guardiola e De Zerbi, senza guardare come giocano oggi le più forti squadre italiane. Il solito schema, anche in questo caso: gli amici fanno le ripartenze, quelli fuori dal giro il contropiede. 

Sono passati 50 anni dalla prima vittoria dell’Italia a Wembley, ovviamente il vecchio Wembley, e il ricordo di ciò che abbiamo visto bambini in televisione fa ancora venire i brividi. Non perché fosse un’impresa in senso stretto: in quel 1973 la Nazionale di Valcareggi, ibrido fra i ‘messicani’ e qualche novità del campionato, aveva conquistato la qualificazione al Mondiale (decisivo lo 0-1 in Turchia firmato da Anastasi), battuto in amichevole il Brasile di Zagallo all’Olimpico e la stessa Inghilterra di Ramsey, a Torino, e soprattutto Zoff non subiva mai gol. Fa venire i brividi perché l’Italia quel 14 novembre 1973 era la cosa più importante, mentre da molti anni non è più così per la maggioranza degli italiani, senza che ci siano colpe specifiche. L’amore è diventato affetto, nella migliore delle ipotesi.

L’esonero di Moreno Longo dalla guida del Como è per il calcio italiano una assoluta novità. Non perché sia strana la cacciata di un allenatore che stava facendo bene, è successo tante volte e nei club con una proprietà ricca (gli Hartono potrebbero comprarsi tutta la Serie A) anche di più, ma perché questa scelta è stata spiegata dalla dirigenza citando statistiche avanzate, dagli ormai banali expected goals ai tocchi nella metà campo avversaria. Poi è chiaro che tutto rientra in una operazione di marketing quasi annunciata, quando Fabregas è andato a Como per svernare come giocatore e poi ha preso in mano la Primavera.

L’autoflagellazione esterofila è un mostro che ha bisogno di nutrimento e Chelsea-Manchester City quasi in contemporanea con Lazio-Roma glielo ha dato, come se un 4-4 pieno di errori degni del vecchio Mai Dire Gol fosse a prescindere meglio di uno 0-0 di tatticismo e tensione. Ma si confronta un prodotto unico come la Premier League, rivolto ad un pubblico globale di bocca buona (oltre a quello di tifosi locali come i nostri), per cui vale l’equazione gol uguale spettacolo, ad uno più tradizionale legato al risultato e comunque all’aspetto sportivo del discorso.

stefano@indiscreto.net

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