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Un allenatore delegittimato, la preparazione di Pioli, l'azzurro di Immobile, il calcio di Boninsegna e Bet.

Stefano Olivari

13.11.2023 13:05

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Nessun allenatore al mondo avrebbe resistito più di qualche settimana alla supervisione di De Laurentiis e infatti Rudi Garcia non è più l’allenatore del Napoli, dopo la sconfitta casalinga con l’Empoli aggravata dalla modalità provocatoria adottata da molti tecnici quando si rendono conto che è finita: Kvaratskhelia in panchina, Raspadori arretrato in un periodo in cui segna quasi sempre, il 4-2-3-1 invece del 4-3-3 preteso dal presidente, cose del genere. Detto più volte che anche Spalletti avrebbe fatto peggio dell’anno scorso, per la semplice ragione che l’anno scorso aveva quasi tutti i giocatori in un momento perfetto della carriera, alle prime difficoltà Garcia si è suicidato istituendo o comunque accettando il ridicolo ‘Consiglio dei saggi’, su richiesta degli stessi giocatori. In pratica un gruppo di senatori e meno senatori (Anguissa, Di Lorenzo, Mario Rui, Meret, Politano, Zielinski) con cui consultarsi prima delle grandi decisioni: democrazia napoletana, ricordando l'esperimento (che aveva altre finalità, oltre al risultato) di Socrates e compagni. Avere accettato questa situazione è stato IL grave errore di Garcia, delegittimato a prescindere dai risultati e dai rifiuti di altri allenatori (Conte) per subentrare in corsa. Preso fra due fuochi e linciato verbalmente nel modo che si riserva solo agli allenatori, Garcia non poteva andare avanti. Ma il disastro è tutto di De Laurentiis, che pure con Garcia aveva fatto una scelta giusta puntando sull'allenatore navigato.

Un po’ diversa è la situazione di Stefano Pioli, per molti motivi con i principali che sono uno scudetto andando molto oltre le aspettative ed una semifinale di Champions League che è traguardo da corazzata con spese no limits. Poi c’è anche il presente del Milan, con la dirigenza che imputa all’allenatore non solo gli scarsi risultati, stiamo parlando in fondo di una squadra terza in classifica, ma una cattiva gestione umana e fisica di molti giocatori: l’Ibrahimovic commissario, pur mascherato con cariche dal nome roboante, nasce soprattutto da questo. Perché i problemi muscolari in questa quantità non sono sfortuna, ma una colpa dello staff tecnico, dei metodi di preparazione e, secondo una corrente di pensiero interna, anche dello stile di gioco. Però due stagioni fa Matteo Osti, da sempre (fin alle giovanili del Bologna) con Pioli, è stato votato dai colleghi miglior preparatore atletico della Serie A, anche se nel Milan di Pioli gli infortunati, anche nell’anno dello scudetto, sono sempre stati tanti. Non crediamo che Ibrahimovic, maniaco del fitness, arrivi con sue tabelle di esercizi, ma è sicuro che qualche consiglio lo darà anche in questo senso. Senza dimenticare che diversi giocatori, il primo che viene in mente è Pulisic ma potremmo dire anche Chukwueze o Okafor, sono arrivati al Milan ad un buon prezzo proprio per la loro storia di infortuni muscolari, magari piccoli ma ricorrenti. Insomma, l'algoritmo che ti fa prendere Pelé e Maradona sani a 20 milioni non esiste.

Il derby romano ha spiegato perché la storia azzurra di Ciro Immobile sia finita con la mancata convocazione di Spalletti per le due decisive partite con Macedonia e Ucraina, scelta che ha sorpreso molti. Il centravanti della Lazio ha giocato 90 minuti di grande sacrificio e intensità, senza brillare in un tipo di partita che per gli attaccanti è quasi impossibile e comunque ha giocato così dopo essere stato decisivo con il Feyenoord. Insomma, scelta tecnica, quella di Spalletti, se ce n’è una, a chiudere una storia iniziata addirittura con Prandelli (l’ultima partita dell’Italia in un Mondiale, quella contro l’Uruguay nel 2014, è stata con la coppia d’attacco Immobile-Balotelli), e proseguita con Conte (che non lo ha mai apprezzato granché), Ventura (suo massimo estimatore) e Mancini. In 57 partite 17 gol, quasi tutti ad avversarie di Serie B o C, con il trionfo di Euro 2020 e il dolore per gli spareggi mondiali persi da titolare con Svezia e Macedonia. A volte sembra che essere stato il più forte attaccante italiano dell'ultimo decennio sia un colpa.

Gli 80 anni di Roberto Boninsegna e la morte di Aldo Bet possono essere letti, in senso sportivo, anche con una chiave attuale, visto che entrambi a livelli diversi sono stati figure iconiche del calcio anni Settanta: i giocatori di allora cosa farebbero oggi? È logico dire che tutti, ma davvero tutti, gli attaccanti di Serie A di quei tempi oggi avrebbero statistiche molto superiori fra rigorini, VAR, portieri costretti a giocare con i piedi, difensori che provano a costruire, eccetera. Boninsegna nel calcio di oggi farebbe 30 gol a campionato e non è una boutade, così come Bettega, Riva 40. Ma gli stopper alla Bet? Questo non lo sapremo mai perché anche ai più raffinati (e Bet non lo era) si chiedeva di annullare l’attaccante avversario e con il pallone fra i piedi di astenersi da iniziative, quelle semmai toccavano al libero ma soltanto quando era molto bravo. Però quelli di taglia fisica imponente, come appunto Bet, allenati in maniera diversa, sarebbero da corsa anche oggi. Interessante anche il discorso contrario, anzi di più: difficilissimo sarebbe per i giocatori di oggi calarsi in quel calcio quasi violento, pur con ritmi molto più bassi, di cui qualche testimonianza rimane nelle botte (ormai poche) e nelle spinte sui calci d’angolo.

stefano@indiscreto.net

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