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Napoli meno Italiano© LAPRESSE

Napoli meno Italiano

La crisi di De Laurentiis, la certezza di Udogie, il lungo addio di Mourinho, i derby di Cairo e il futuro di Pogba.

Redazione

09.10.2023 ( Aggiornata il 09.10.2023 08:51 )

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Dalla maglia dell’Inter lo scudetto 2023-24 è passato su quella del Milan, dopo il passo falso della squadra di Inzaghi con il Bologna e la contestata vittoria del Milan sul Genoa. La sensazione è che per tutta la stagione si faranno pronostici su una delle due milanesi in base all’ultimissima impressione, la certezza è che già ad inizio ottobre si può dire che il Napoli di De Laurentiis non sia nemmeno iniziato. Diciamo De Laurentiis e non Garcia, ormai nel mirino di pubblico e soprattutto dei giocatori, se anche Politano fa il Chinaglia-Carnevale della situazione. Il post Spalletti e post Giuntoli, in parte subito ed in parte auspicato dal presidente per dimostrare la sua importanza, racconta della stessa squadra dello scudetto meno Kim: non c’è stato alcuno smantellamento, ma sopravvalutazione sì. Che la magia non potesse continuare lo aveva capito per primo proprio l’attuale commissario tecnico dell’Italia, che finora è quindi stato più furbo del suo ex presidente. Poi la casualità del calcio ha ufficializzato la crisi proprio con la sconfitta contro la Fiorentina di Vincenzo Italiano, uno dei grandi no ricevuti da De Laurentiis in estate: perché nessuno in una situazione simile sarebbe stato all’altezza del  Napoli dell’anno scorso.

Fra i convocati di Spalletti per le partite di qualificazione europea contro Malta (sabato a Bari) e Inghilterra (il martedì dopo a Wembley) spicca il nome nuovo di Destiny Udogie, che nome nuovo non è affatto visto che da tre stagioni è nel grande calcio dopo avere esordito in Serie A nel Verona dove è cresciuto, essere esploso nell’Udinese ed essere adesso titolarissimo (traduzione per chi ha più di 40 anni: titolare) nel Tottenham di Postecoglou che sta volando in Premier League, il tutto a 21 anni. Significativo che Spalletti inserisca i nuovi, i mitici ‘giovani’, soltanto quando li ritiene pronti: non è un metodo migliore rispetto alle provocazioni di Mancini, al quale spesso i fatti hanno dato poi ragione (basti pensare a Zaniolo), ma è senz’altro un metodo diverso. Fra il po-po-po di Euro 2020 ed il disfattismo cosmico post-Macedonia la classe media italiana rimane molto buona. Quanto a Udogie, la sua versione attuale lo porterebbe ad essere in alternativa a Dimarco, mentre il resto della sua carriera potrebbe anche suggerire un suo impiego a centrocampo.

La sosta per le nazionali è il periodo con la più alta percentuale di esoneri, mentre scriviamo queste righe sembra imminente quello di Paulo Sousa, ma l’esonero di José Mourinho sarebbe davvero clamoroso. Lo scoop del Corriere dello Sport sul grande freddo tra Friedkin e l’allenatore della Roma può portare a soluzioni estreme a prescindere dai risultati ed il fatto che Mourinho stesso abbia parlato di un futuro in Arabia indica che il progetto non andrà in ogni caso oltre questa stagione. Sarebbe assurdo se la vittoria di Cagliari rimanesse l’ultima partita sulla panchina giallorossa di un personaggio che ha riportato alla Roma entusiasmo, identità e tutto sommato anche risultati, pur in linea (forse meno) con il valore teorico della rosa, niente che faccia gridare al miracolo ma sufficiente per i tifosi.

Sabato scorso il Torino ha giocato il suo derby numero 29 da quando ha Urbano Cairo come presidente, cioè 18 anni. Per la prima volta da tempo immemorabile leggendo le formazioni al minuto zero la squadra granata, nonostante le assenze in difesa, non sembrava inferiore alla Juventus, ma comunque ha perso: sconfitta numero 23 dell’era Cairo, che può vantare una sola vittoria, ai tempi di Ventura. Inutile proseguire con le statistiche, ma 18 anni ci sembrano sufficienti per una considerazione che vada al di là dell’ultima impressione (probabilmente a portieri invertiti il Torino non avrebbe perso) e dell’ultima intervista autocelebrativa: Cairo non è in assoluto il peggior presidente nella storia del Torino, come dicono molti tifosi (lui fra l’altro è tifoso del Milan, non del Torino), ma lo è in rapporto ai mezzi finanziari ed al peso politico. L’unico argomento a suo favore potrebbe essere che nel 2023 il Torino abbia meno tifosi che in passato (nella scorsa stagione tredicesimo pubblico della Serie A, dietro anche alla Sampdoria retrocessa) e che quindi muova meno interessi, in altre parole che debba essere giudicato con lo stesso metro con cui giudichiamo l’Udinese o il Sassuolo. Ma questa situazione è ormai colpa soprattutto di Cairo.

La positività di Paul Pogba alle controanalisi antidoping libera la Juventus di un grande problema, perché gli ultimi tre anni del centrocampista francese, non soltanto quello in bianconero, raccontano di un giocatore soggetto ad infortuni grandi e piccoli, come testa non tanto centrato sul calcio e con vicende private (senza colpa sua, ma dei familiari sì) che impedirebbe di svolgere bene un lavoro impiegatizio, figurarsi quello di giocatore di riferimento della Juventus oltre che più pagato della rosa con i suoi 10 milioni netti tutto compreso. Pogba, già sospeso, rischia 4 anni di squalifica, ma potrebbe realisticamente cavarsela con 2, e avendone lui 30 significa la fine della carriera con la prospettiva poi di qualche anno in Arabia per soldi e per convinzione, vista la fede musulmana abbastanza improbabile ma comunque ostentata. La Juventus potrebbe non avere la convenienza nel rescindere subito il contratto, per arrivare ai due anni di sconti fiscali e previdenziali previsti dal decreto crescita, ma questi sono tecnicismi. Il discorso calcistico è che Pogba era l’ultimo grande colpo alla Andrea Agnelli, prima delle vicende sportive e familiari che lo hanno estromesso dalla Juventus.

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