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Brasile alla Ancelotti© Getty Images

Brasile alla Ancelotti

Uno scenario clamoroso è diventato ufficiale: la squadra più prestigiosa del mondo affidata all'allenatore italiano di club più titolato. Che nel 2026 vuole riprendersi ciò che la sorte gli ha tolto da giocatore...

Stefano Olivari

05.07.2023 ( Aggiornata il 05.07.2023 09:58 )

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Carlo Ancelotti sarà il commissario del Brasile, adesso è ufficiale dopo settimane di tira e molla in cui la posizione del Real Madrid non è stata chiara: far rispettare ad Ancelotti il contratto fino al 2024 o sostituirlo subito, dopo una stagione che agli occhi di Florentino Perez è stata negativa? Nel dubbio Perez ha per tutto giugno fatto lanciare dai suoi trombettieri lo scenario di Xabi Alonso, che peraltro davvero è il candidato numero uno alla successione di Ancelotti sulla panchina più difficile del mondo, dove chi non vince la Champions e magari arriva in semifinale, come quest’anno, è uno che ha fallito. L’attuale allenatore del Bayer Leverkusen tornerà d’attualità l’anno prossimo, visto che Ancelotti sarà sulla panchina del Real fino al 2024, salvo esonero, e soltanto dopo prenderà in mano il Brasile che nel frattempo sarà formalmente affidato a Fernando Diniz, come confermato dal presidente della federazione Ednaldo Rodrigues. Insomma, vedremo Ancelotti allenare il Brasile a partire dalla Coppa America 2024 e come minimo fino al Mondiale 2026, l’ovvio obbiettivo di una nazionale che il Mondiale l’ha vinto 5 volte.

Per Ancelotti, con tutto il rispetto per le 6 Coppa Campioni-Champions League (di cui 4 da allenatore) e le mille altre cose vinte, si tratta del più grande riconoscimento avuto in carriera. Perché passerà dal club più prestigioso del mondo, a prescindere dai soldi (comunque tantissimi), alla squadra più prestigiosa del mondo, in uno di quei paesi che credono di avere inventato il calcio e che quindi considerano una sconfitta l’affidarsi ad un allenatore straniero. Ed infatti in 109 anni di storia della nazionale brasiliana non è mai accaduto, se non per due affiancamenti (l’uruguaiano Ramon Platero era nella commissione che guidò il Brasile nella Coppa America 1925, il portoghese Joreca collaborò in due amichevoli del 1944) e a un’amichevole del 1965, con l’argentino Filpo Nunez, che all’epoca guidava il Palmeiras. Ancelotti non è il primo allenatore straniero del Brasile per la statistica ma è di sicuro il primo vero e di fatto è lui a chiudere la buona era Tite, chiusa con una vittoria in Coppa America e tante occasioni perse, su tutte quella al Mondiale in Qatar con la sconfitta ai rigori nei quarti che ha privato tutti noi della partita della vita, in semifinale, contro l’Argentina.

Cosa potrà fare Ancelotti più di Tite? Ma anche più di Diniz, che non ha vinto molto ma in patria è considerato allo stesso modo in cui noi consideriamo De Zerbi. È evidente che per l’allenatore emiliano a 64 anni parla il curriculum: in proporzione al materiale umano avuto a disposizione lui ha sempre fatto meglio nei tornei ad eliminazione diretta che nei campionati, che pure ha vinto. Non è questione di fortuna, come spesso si dice di Ancelotti, ma di caratteristiche, perché ci sono allenatori-martello che fanno in proporzione meglio nei campionati e allenatori-gestori che in proporzione fanno meglio nelle coppe, sono profili più psicologici che tattici visto che un tecnico di Serie C conosce la tattica non meno di Ancelotti e Guardiola.

Il secondo aspetto che ha convinto i brasiliani è il buon rapporto che Ancelotti ha sempre avuto con i giocatori brasiliani, da Kakà a Vinicius passando per Dida, Cafu, Marcelo, eccetera, senza contare i suoi compagni alla Roma Falcão e Cerezo. L’unico con cui non c’è mai stato amore è stranamente Casemiro, che del Brasile è tuttora il capitano, nonostante abbia più di qualche somiglianza con l’Ancelotti giocatore. Prematuro delineare il Brasile di Ancelotti, proprio perché è il Brasile di Ancelotti, di certo si partirà dal 4-3-3 e poi si vedrà: non c'è un solo reparto, a partrire dai portieri, in cui manchino scelte di alto profilo e quindi il talento, oltretutto anche europeizzato, è l'ultimo dei problemi.

La terza caratteristica di Ancelotti che lo rende da Brasile è che mai negli ultimi anni lo abbiamo sentito dire ‘il mio calcio’ o cose del genere: un eventuale trionfo mondiale fra 3 anni non sarebbe una sconfitta della scuola brasiliana, ma anzi verrebbe vissuto come il trionfo dei giocatori. La prova, questa, che anche gli allenatori cambiano e l’atteggiamento dell’Ancelotti di metà anni Novanta, quello che faceva scappare Zola in Inghilterra e non voleva Baggio, è molto diverso da quello dell’Ancelotti di oggi.

Ultimo ma non ultimo aspetto da prendere in considerazione è l’ambizione di Ancelotti: nelle interviste non lo dice mai, anzi non ha mai perso occasione per sottolineare la superiorità del calcio di club, ma chi lo conosce assicura che per lui il Mondiale è una ferita aperta. Da giocatore perse per infortunio la leggenda di Spagna 1982, per volere di Bearzot Messico 1986 e per scelte di Vicini, unite a un mezzo infortunio, quasi tutto Italia ’90 in cui era partito come titolare contro l’Austria. E da allenatore quando è stato disponibile per l’Italia non c’è mai stato l’incastro giusto: Ventura fu scelto da Lippi (nella sua terna c'erano anche De Biasi e Montella), Mancini da Malagò. E non è detto che un fallimento azzurro nei prossimi mesi gli avrebbe dato una chance. Ancelotti campione del mondo con il Brasile suona bene, ma suona bene anche Ancelotti con il Brasile.

stefano@indiscreto.net

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