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Gli anni di D'Amico© LaPresse

Gli anni di D'Amico

Addio a un grande talento degli anni Settanta  e Ottanta, anche ottimo commentatore in tempi recenti. Con il fascino irresistibile dell'incompiuto...

Stefano Olivari

03.07.2023 11:19

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Con la morte di Vincenzo D’Amico se ne va un altro degli eroi della Lazio del primo scudetto. Diciamo eroi non perché la squadra di Maestrelli fosse più forte o meritevole di altre che avevano o avrebbero vinto scudetti, al di là della retorica sul passato che è sempre migliore, ma perché era una squadra iconica ed estrema già nel suo tempo. Una squadra irripetibile, anche perchè non basata sui soldi (anzi), che pareva studiata apposta per rendere ridicoli tanti discorsi sul gruppo, visto che i giocatori si mettevano le mani addosso e sul piano verbale non avevano assolutamente filtri: chissà come verrebbero presi Chinaglia, Wilson, Martini, eccetera, dal tribunale moraleggiante dai social network.

In questo contesto esplosivo, davvero da anni Settanta, D’Amico era il ragazzino di talento che buttava via il talento, e dai media dell’epoca veniva raccontato come oggi vengono raccontati Zaniolo e Balotelli, siamo abbastanza vecchi per ricordarlo (l'esempio da dare ai giovani, eccetera). E non bisogna dimenticare che più volte la Lazio cercò di fare cassa con lui: nel 1976, alla fine del ciclo di Chinaglia giocatore, Lenzini lo aveva di fatto già ceduto al Milan in una delle tante estati in cui il club rossonero aveva cercato di liberarsi dell’ingombrante Rivera, per quanto il ruolo non fosse proprio lo stesso: D’Amico giocava di preferenza esterno offensivo o mezzapunta, anche se certo l’occorrenza poteva fare il mini-Rivera. Era l’epoca in cui nemmeno c’era la firma contestuale, che sarebbe arrivata nel 1978, il calciatore o accettava il trasferimento o si ritirava. Ma il ventiduenne D’Amico tenne duro e preferì rimanere in una Lazio ridimensionata ma comunque emozionante, che stava lanciando i giovani (due anni meno di lui) Giordano e Manfredonia.

L’esilio, come lo chiamava lui, sarebbe arrivato dopo il calcioscommesse del 1980 e soltanto per un anno, al Torino, prima del ritorno alla Lazio e della chiusura di carriera nella Ternana di Facco, altro giocatore di quella Lazio (ma il titolare era Petrelli). D’Amico era tutt’altro che un giocatore molle di carattere, a 18 anni si era ripreso da un infortunio gravissimo e nella Lazio dei pugni e delle pistole era riuscito a sopravvivere fra molti alti e qualche basso (lo stesso Maestrelli per qualche tempo lo mise fuori squadra per scarso rendimento, preferendogli il più disciplinato Badiani), ma di sicuro è stato limitato dalla vita fuori dal campo: niente di scandaloso, molto di negativo per un atleta di un calcio con rose limitatissime e due sostituzioni. La prova che sposarsi a 20 anni, come aveva fatto D'Amico subito dopo lo scudetto e come i club dell'epoca 'consigliavano' ai calciatori, non sempre funzionava. 

Essendo nato nel 1954, aveva l’età giusta per diventare fondamentale nella Nazionale della ricostruzione post Mondiale 1974, prima con Bernardini e poi con Bearzot, ma non fu mai davvero preso in considerazione. In particolare Bearzot lo aveva già ‘battezzato’ convocandolo pochissimo nella sua Under 23 (mentre D'Amico era stato la stella dell'Italia juniuores di Vicini), ma lo teneva comunque in considerazione ed arrivò a dirgli (questa la versione di D’Amico) che sarebbe stato l’erede di Causio. Il problema non fu tanto la scelta di Bruno Conti, visto che i fatti avrebbero poi dato ragione a Bearzot, ma che D’Amico non avesse mai avuto nemmeno un minuto in campo con l’Italia, nemmeno nella fase della sperimentazione spinta e quindi a maggior ragione in quella post 1978. Gli rimase e gli è rimasta la Lazio. Quella Lazio, quindi tantissimo.

In tempi più recenti è stato anche un ottimo commentatore, uno dei pochi ex calciatori ascoltabili anche perché non aveva l'ambizione di allenare o rimanere nel giro. Al tempo stesso serio e leggero, D'Amico era diventato una presenza familiare sia in studio sia in collegamento da Madeira dove abitava per buona parte dell'anno. Certo il suo talento Cristiano Ronaldo se lo è giocato meglio, ma D'Amico ha il fascino eterno dei grandi incompiuti e dei campioni della televisione in bianco e nero. 

stefano@indiscreto.net

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