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La bandiera di Tonali

La bandiera di Tonali

Il Milan del futuro, il mercato di Mazzola e Rivera, l'Under 21 senza VAR, De Laurentiis senza media company, la squalifica di Mourinho e la classe media in Arabia.

Stefano Olivari

23.06.2023 ( Aggiornata il 23.06.2023 14:16 )

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Il caso di Sandro Tonali, che il Milan sta cedendo al Newcastle per 70 milioni di euro, nella logica di un tifoso non soltanto rossonero è davvero clamoroso. Non per la convenienza, visto che da questa vicenda tutti almeno nel breve periodo ci guadagnano, ma perché il centrocampista della Nazionale sarebbe stato l’uomo simbolo del Milan per almeno dieci anni. Punto di partenza e secondo noi anche di arrivo la volontà di Tonali: dopo tante dichiarazioni d’amore nei confronti del Milan non è stato deportato dagli arabi cattivi, ma ha fatto una sua valutazione di convenienza e la scelta che nelle rispettive professioni avrebbe fatto la maggior parte di chi adesso lo critica. Abbiamo detto ‘la maggior parte’, non tutti, perché il calciatore post-Bosman (quindi dal 1996), ma nella sostanza anche post firma contestuale (quindi dal 1978), non è uno schiavo che deve accettare tutto: è un professionista che può subire pressioni da parte dei club, e ce ne sono state anche in questo caso, ma che alla fine decide lui. Tonali non è il calciatore puro costretto ad andare via dai dirigenti cattivi, al di là del fatto che dopo l’addio a Maldini e Massara non ci sia una vera e propria faccia su queste operazioni. Insomma, Cardinale, Moncada, Pioli manager, moneyball, l'algoriitmo, eccetera, ma Tonali al Milan guadagnava 2,5 milioni netti a stagione, in pratica un quarto di quanto prenderà in Inghilterra, in una rosa dove Rafael Leão è un caso particolarissimo (non scommettiamo sulla sua permanenza, a maggior ragione dopo il rinnovo da 7 netti). Poi c’è ovviamente la filosofia del Milan di Cardinale, ereditata dal suo maxicreditore Elliott e non più accettata da Maldini: nessuno è incedibile, nessuno è indispensabile, migliorare la squadra non è un obbligo. Berlusconi è davvero morto.

Non ci sono più le bandiere di una volta? La nostra domanda da bar merita una risposta da bar: sì, non ci sono più le bandiere di una volta. Pensiamo a quante volte l’Inter ha provato a liberarsi di Mazzola, il Milan di Rivera, il Cagliari di Riva, il Napoli di Juliano, il Bologna di Bulgarelli. Eppure questi campioni-simbolo sono sempre riusciti a rimanere nel club con cui si identificavano, anche a dispetto della convenienza e del fatto che spesso fossero messi in discussione da presidenti invidiosi della loro popolarità. Altro discorso per giocatori più recenti: qualcuno è stato davvero una bandiera, ma a patto di essere pagato come se fosse una stella del Real Madrid. Del Piero, Totti, il Paolo Maldini giocatore, Zanetti, eccetera, rimanendo dov’erano hanno perso poco: forse qualche coppa, ma soldi no. Più difficile fare i duri e puri nella Serie A di oggi: non si capisce quindi perché Tonali dovesse 'sacrificarsi'. Se fosse un bravo ingegnere o un bravo medico, invece che un bravo calciatore, nessuno (purtroppo, aggiungiamo) piangerebbe per la sua libera scelta di lasciare l'Italia. 

A proposito di bei tempi, chi rimpiange il bel calcio di una volta, quello senza VAR, quello con il mito del ‘campo’, può riguardarsi Italia-Francia dell’Europeo Under 21, con gli azzurri di Nicolato (ancora per poco, pare) penalizzati dagli errori di Lindhout e del suo guardalinee, su tutti quello del gol del 2-2 non dato a Bellanova con il pallone di quasi mezzo metro oltre la linea di porta e forse anche tirato fuori di mano. La figuraccia non l’ha però fatta soltanto lo scarso arbitro olandese perché gli errori di questo tipo nel mondo pre-VAR e pre goal line technology erano frequenti, ma soprattutto la UEFA. Non ci sarà mai un modo oggettivo per valutare le situazioni di contatto, ma nel 2023 sbagliare sul resto, a questo livello, è inaccettabile. Certo non ci aspettiamo una battaglia di Gravina, che con Ceferin ha un filo diretto (e lo si sta vedendo anche con la vicenda della squalifica della Juventus contrattata).

Qualche giorno fa avevamo scritto di offerte basse per quanto riguarda i diritti televisivi della Serie A dopo il 2024, da parte di Sky, DAZN e Mediaset, ma eravamo stati ottimisti. De Laurentiis ha parlato senza mezzi termini di offerte complessive sotto i 600 milioni a stagione, cioè il 50% in meno rispetto ai contratti attuali. Insomma, l’Apocalisse. Contro cui non ci sarà nessuna tivù di Lega che tenga, le offerte sono basse non per difficoltà distributive ma perché finora il pubblico è stato per motivi politici sopravvalutato, diciamo pure gonfiato. È ovvio che le trattative private hanno l’obbiettivo almeno di avvicinarsi alle cifre attuali, facendo leva soprattutto su DAZN che senza la Serie sparirebbe mentre Sky è comunque ben posizionata sul calcio internazionale e sugli altri sport. Chi si ricorda della media company affossata proprio da De Laurentiis, Lotito e altri, il cui 10% era stato valutato 1,7 miliardi? 

Le quattro giornate di squalifica UEFA a José Mourinho sono dipese non soltanto dagli insulti dell’allenatore della Roma all’indirizzo di Taylor, oltretutto molto dopo la fine della partita di Budapest, nel parcheggio dello stadio, ma anche dal fatto che abbiano preparato il terreno al linciaggio (per fortuna soltanto verbale) dell’arbitro inglese da parte dei tifosi della Roma all’aeroporto. A Mourinho sarebbe potuta andare anche peggio, insomma. Il discorso generale non cambia: il ‘noi contro tutti’ che in Italia trova sempre terreno fertile e comunque compatta lo spogliatoio, in Europa è controproducente oltre che infondato, visto che stiamo parlando di una partita con il Siviglia e di una Roma che politicamente a livello UEFA è dalla parte giusta. Certo è che al terzo anno sulla panchina giallorossa non ci saranno più armi di distrazione di massa per giustificare il fallimento in campionato di una squadra con un monte ingaggi superiore a Napoli e Lazio.

Cristiano Ronaldo e Benzema fanno più titolo, ma la Serie A dovrebbe essere più preoccupata dalla notizia che Ruben Neves sia passato dal Wolverhampton all’Al-Hilal per l’equivalente di 55 milioni di euro. Non perché sia una cifra irraggiungibile per i grandi club europei, ma perché se l’Arabia Saudita si mette a comprare i giocatori di livello medio-alto nel pieno della carriera allora per l’Europa, Premier League compresa, si mette male. Certo qualcuno, speriamo più di qualcuno, continuerà a preferire una carriera comunque ben pagata nel calcio che conta, ma chi è fuori dal giro dei grandi club no. Quale procuratore consiglierebbe ai propri assistiti di livello medio di guadagnare 5 alla Fiorentina invece di 20 all’Al-Hilal? Nessuno. Altro discorso invece per chi è ambizioso. Alla fine l’unica difesa della vecchia Europa è che nessun appassionato di calcio europeo seguirebbe mai il campionato saudita, nemmeno se ci giocassero Pelé e Maradona nel fiore degli anni. Un discorso estendibile anche a situazioni extrasportive: nessuno sogna l'Arabia Saudita, molti sognano l'Europa.

stefano@indiscreto.net

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