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Il calcio di Berlusconi© LAPRESSE

Il calcio di Berlusconi

Con la scomparsa dell'ex presidente del Milan se ne va un uomo che ha fatto la differenza anche in campo sportivo. E non soltanto per i trofei alzati...

Stefano Olivari

12.06.2023 ( Aggiornata il 12.06.2023 15:21 )

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Silvio Berlusconi è stato tutto, raggiungendo il successo in tanti campi diversi, ma noi vogliamo ricordarlo in quello calcistico dove il suo impatto è andato ben al di là delle tante cose vinte in 31 anni da presidente del Milan: 5 Coppe dei Campioni/Champions League e 8 scudetti solo per citare i trofei principali, trovando in rossonero alcuni fuoriclasse (Franco Baresi, Paolo Maldini) e portandone molti altri: Van Basten, Donadoni, Gullit, Shevchenko, Pirlo, Kakà, Ronaldinho… Insomma, ciò che è stato il Milan di Berlusconi è già storia, una storia chiusa con un troppo lungo addio e riproposta in miniatura al Monza, sempre con la mano di Adriano Galliani. Quale è stata quindi l’importanza di Berlusconi nella storia del calcio italiano?

Bisogna tornare all’inizio del 1986, quando un Milan indebitato ma con giocatori di ottimo livello viene di fatto scippato in tribunale a Giussy Farina, che comprensibilmente non accetterà mai quell’operazione benedetta dalla politica, Craxi in testa, ma auspicata anche da molti tifosi normali. Il Berlusconi anni Ottanta è infatti l’uomo che meglio incarna quel decennio in cui l’Italia diventa la quinta potenza economica del mondo ed in cui l’ottimismo del lavorare e del divertirsi sostituisce il ‘tutto è politico' del periodo precedente. Più banalmente molti pensano, a ragione, che Berlusconi abbia tanti soldi e soprattutto l’intenzione di spenderli per il Milan. Così sarà fin da subito, con la campagna acquisti di Donadoni, Giovanni Galli, Massaro, Galderisi, Dario Bonetti, Borgonovo (che sarà dato in prestito), e ancora di più negli anni successivi.

Quale calcio italiano trova il Berlusconi presidente? Una Serie A che sta sfruttando l’onda lunga dell’Italia campione del mondo 1982 e della riapertura del 1980 agli stranieri, anche se nel 1986 sono ancora al massimo due per squadra. Una Serie A paragonabile per importanza alla Premier League di oggi, che riesce ad attrarre campioni incredibili anche in provincia (Zico all’Udinese nel 1983) o in club di secondo piano (nel 1984 il Napoli che ingaggia Maradona è reduce da un undicesimo posto). Una Serie A dove tutti, spendendo soldi che sembrano tanti ma che in realtà sono alla portata di molti imprenditori di taglia media, possono competere: dal 1982 al 1991 ci sono 7 vincitori di scudetto diversi (Juventus e Napoli 2 volte, Roma, Verona, Milan, Inter e Sampdoria) in 9 stagioni.

Ecco, dopo un paio di tentativi del passato di acquistare l’Inter da Fraizzoli è in questa Serie A di alto livello che Berlusconi arriva. Trovandola subito vecchia: nessuna partita è trasmessa in diretta (e così sarà fino al 1993) e quasi nessuna nemmeno in differita, lui da imprenditore televisivo trova inaccettabile questa cosa e non a caso sarà il motore della nascita di Telepiù. Inoltre le 16 squadre portano a soltanto 30 partite, troppo poche e ad ogni turno tutte in contemporanea salvo casi particolari.

Quanto agli stranieri, da un lato Berlusconi sostiene che il Milan debba avere un’anima lombarda e dall’altro che deve essere libero di prendere tutti i campioni stranieri che vuole. Sulla spinta del Milan e degli altri grandi club le regole quindi cambiano: tre stranieri tesserabili dal 1988, tesseramento libero dal 1992 ma soltanto con tre a referto. Così il Milan 1992-93 in certe partite manda in tribuna tre fra Van Basten (Pallone d’Oro 3 volte), Gullit (Pallone d’Oro), Papin (Pallone d’Oro), Rijkaard, Boban, Savicevic. I confronti con l’oggi sono sempre forzati ma è impossibile evitarli, almeno fino a che saranno in vita persone che quel Milan lo hanno visto giocare.

Con Berlusconi le dimensioni finanziarie del calcio italiano cambiano, ben prima che i diritti televisivi, la Champions League e gli sponsor assumano dimensioni significative: i giocatori strapagati da Berlusconi, non i campioni ma la classe media, rendono obsoleti i Dino Viola e i Ferlaino ma anche i Mantovani, per non parlare di realtà minori che nemmeno possono più sognare. Lo spartiacque è probabilmente l’operazione Lentini: 18,5 miliardi di lire al Torino di Borsano, più 6 in nero, più 8,5 lordi a stagione per quattro stagioni e 5 una tantum al giocatore che voleva andare alla Juventus. Insomma, un’operazione da 65 miliardi di lire totali, al potere d’acquisto attuale circa 60 milioni di euro. Per l’epoca una cifra pazzesca.

Ma al di là dei soldi Berlusconi cambia anche psicologicamente le dimensioni del calcio italiano e quindi anche la taglia dei suoi imprenditori: gli Agnelli tornano a spendere cifre enormi, nell’Inter tornano i Moratti, le romane con Sensi e Cragnotti si avviano su questa strada delle spese no limits, senza contare il Parma dei Tanzi e la Fiorentina dei Cecchi Gori. Soldi a volte finti, ma più spesso veri ed infatti molti si rovineranno. Come si vede dai nomi, un calcio dalle spese già pazze ma ancora in mano a persone identificabili e italiane, per quanto senza scrupoli come quello dei findi di investimento. Un calcio che quando nel resto del mondo sono piovuti i soldi arabi e russi, ma non soltanto i loro, si è trovato spaesato e se l’è presa con la globalizzazione. Certo nel 1987 a nessuno in Italia importava dei tifosi dell’Ajax delusi per la cessione di Van Basten.

Da persona intelligente Berlusconi ha capito quando il suo tempo calcistico era finito ed ha massimizzato i vantaggi della cessione con l’invenzione di Yonghong Li e poi il passaggio del Milan ad Elliott. E sul piano storico anche in campo calcistico rimane un gigante, per le vittorie e per come le ha ottenute, quasi annunciandole prima, inseguendo un'idea di Milan (che infatti è la cosa più rimpianta) al di là dei risultati. Il calcio gli è servito anche per altri scopi? Probabilmente sì, anche se non sappiamo quanti interisti o juventini abbiano votato Forza Italia spinti dai successi del Milan e non per convinzione personale. Però era ancora un calcio in cui ai soldi corrispondeva una faccia. E quella di Berlusconi mancherà a tutti, sostenitori e avversari.

stefano@indiscreto.net

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