Giornale di critica e di politica sportiva fondato nel 1912

La dimensione di Inzaghi© LAPRESSE

La dimensione di Inzaghi

Gli episodi di Guardiola, il biglietto di Zhang, la scommessa su Lukaku, la Serie A allenante e il bilancio dell'Inter

Stefano Olivari

11.06.2023 ( Aggiornata il 11.06.2023 21:52 )

  • Link copiato

Il Manchester City ha vinto il più importante trofeo calcistico per club del mondo, l’Inter ci è andata vicina e la cosa più incredibile è proprio la seconda. Perché nella finale di Istanbul la squadra di Simone Inzaghi ha avuto pochissimo dai suoi uomini chiave, Lautaro Martinez e soprattutto Calhanoglu, ed è stata invece trascinata dalla sua classe media: i Darmian, gli Acerbi, i Dimarco. Inutile ripercorrere gli episodi di una partita che hanno visto tutti, anche per la ovvia considerazione che il calcio è fatto di episodi ed invertendone l’esito si potrebbe riscrivere quasi tutta la sua storia. Ovvio è anche dire che in Champions il Manchester City di Guardiola dagli episodi è spesso stato punito, e a questo giro si affrontavano una squadra che più o meno è sempre lì ed una sorpresa che ha dato il 100%, che avrebbe fatto il suo uscendo con il Porto negli ottavi di finale e che è stata brava nello sfruttare un bel tabellone, Benfica nei quarti e Milan in semifinale. Senza citare tutto, pensiamo al modo folle in cui il City uscì con il Tottenham nei quarti quattro anni fa o con il Real Madrid l’anno scorso, per non dire della finale con il Chelsea che però almeno fu equilibrata.

Visto che siamo sul tema: l’Inter sarà in grado di rimanere stabilmente nell’élite europea e di pescare prima o poi il biglietto giusto? Ciò che accade al Bayern Monaco (secondo noi al top come vittorie sfumate), al Barcellona, al Liverpool, addirittura anche al Real Madrid. Risposta: dipende da quale tipo di società, prima ancora che da quale tipo di squadra, uscirà dall’estate. Finanziariamente Zhang può andare avanti ancora un anno, o (meno probabile) rinegoziare il debito a tassi da strozzinaggio: la convenienza sarebbe vendere adesso un club che un’occasione simile di vincere la Champions magari ce l'avrà fra dieci anni, la tentazione è vivacchiare in attesa del jackpot, perché la vicenda Superlega è tutt'altro che conclusa. La certezza è che il vittimismo preventivo, a colpi di esaltazione finanziaria della Premier League, nel calcio ha meno senso che in altri sport: in un torneo ad eliminazione diretta ci sono almeno venti squadre che ben allenate possono sognare di alzare la Champions.

Paradossalmente Guardiola esce ridimensionato dalla prima Champions extra-Barcellona, in questo modo avrebbe potuto vincere il vituperato (anche dai tifosi arabi, notoriamente abituati al grande calcio) Allegri ma non il maestro dei maestri. Ingigantito invece lo sconfitto Simone Inzaghi, che si conferma l’allenatore perfetto per le partite della vita, la sua vera dimensione: prima o poi il PSG si accorgerà di lui e lui si ricorderà dei discorsi sui traghettatori che si facevano due mesi fa, su input ben chiari. Evidente invece la differenza di livello dei giocatori, attenuata nel caso specifico ma che in una stagione conta: nessuno può rendere sempre al 100%, nemmeno Haaland che rimane il centravanti più forte del mondo ma nell’occasione ha giocato male quanto le punte dell’Inter. A questo proposito, la prima riflessione da fare per Marotta e Inzaghi è quella su Lukaku: la grande scommessa di mercato della stagione non è stata totalmente persa, perché il belga dopo essere tornato in forma ha fatto anche altro oltre al colpo di testa addosso ad Ederson, ma non sarà rinnovata. Il resto dipende da quanti e quali, se di Zhang o di altri, soldi ci saranno a disposizione.

Non siamo stati trionfalisti per le tre italiane nelle tre finali europee, non siamo disfattisti per le tre finali perse da Roma, Fiorentina e Inter per la gioia non soltanto delle rivali storiche, come è giusto (il tifo contro è la base del successo del calcio), ma anche degli esaltatori acritici di modelli stranieri. La Serie A non è ‘poco allenante’, come era di moda dire qualche anno fa, semmai è proprio il contrario: grazie alla cultura del risultato, con i suoi pro e i suoi contro, ognuno al suo livello fa il massimo possibile e non ha senso rievocare un’epoca nemmeno troppo lontana in cui i migliori calciatori del mondo accettavano una provinciale pur di giocare in Italia. Era un altro mondo, pur essendoci già lo sportwashing: soltanto che non si chiamava così e lo facevamo anche noi. Fra l’altro il pubblico sembra gradire più dei giornalisti: la stagione 2022-23 è stata la migliore del secolo come media-spettatori, 29.495 a partita, con un indice di riempimento degli stadi dell’80,8%. Con Inter, Milan, Roma, Atalanta e Juventus che sono al livello della Premier League, ben oltre il 90. Manca la corazzata, è vero, ma tante corazzate le fasi finali della Champions le hanno viste in televisione.

Tornando all’Inter, è il momento di fare un bilancio della sua stagione. Negativa in campionato, terza in campionato con 12 sconfitte senza essere mai stata in lotta con il Napoli (questo il punto, al di là dei numeri) e superata anche dalla Lazio che ha una rosa davvero inferiore. Poi la qualificazione alla Champions sembra ormai la differenza fra la vita e la morte, quindi in questo senso l’Inter è rimasta viva. Positiva nelle coppe nazionali, anche per il modo in cui sono state vinte, con il Milan la Supercoppa e con la Juventus in semifinale la Coppa Italia. Da leggendaria a ottima, per il risultato che non è un dettaglio, in Champions League. Perderà Skriniar, ma nella parte migliore della sua stagione non l'ha mai avuto ed il problema (nel mondo in cui solo i dirigenti sembrano infallibili e non criticabili) è che lo perderà a zero, perderà Lukaku a meno di regali del Chelsea, perderà Gagliardini in scadenza di contratto e tutti gli altri in scadenza che non accetteranno proposte al ribasso: De Vrij, Dzeko, Handanovic, D'Ambrosio. Improbabile il riscatto di Bellanova dal Cagliari, mentre quello di Acerbi dalla Lazio dipende solo dal messaggio che si intende lanciare a Inzaghi, al di là del fatto che il trentacinquenne difensore sia stato uno dei migliori. Ma in questo momento Inzaghi, come il miglior Rocky, avrebbe tanta voglia di dire "Non me ne frega niente del futuro". Lui comunque un futuro ce l'ha. 

stefano@indiscreto.net

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi