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Fenomeno Giuntoli© LAPRESSE

Fenomeno Giuntoli

Il nuovo Napoli, la carta di Zhang, la testa di Agnelli e il ritorno di Maldini

Stefano Olivari

07.06.2023 ( Aggiornata il 07.06.2023 19:40 )

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Quanti allenatori hanno già detto di no ad Aurelio De Laurentiis? Tanti, più del previsto. Il dopo Spalletti fa paura sia ai mestieranti sia agli emergenti con maglione attillato, oltre che allo stesso Spalletti che non a caso si è chiamato fuori dalla gestione di un gruppo in cui molti sono convinti di essere diventati fenomeni. Altro che PEC… Troviamo però molto più interessante, visto che la tendenza dell’anno è (secondo noi giustamente) dare i principali meriti e demeriti ai dirigenti più che agli allenatori, la situazione di Giuntoli che non sta facendo mercato per il Napoli ma che al tempo stesso non è libero di andare alla Juventus, alla Lazio, al Milan o dove vuole. È davvero questo fenomeno, Giuntoli, citatissimo anche da chi non sa nemmeno che faccia abbia? Come tutti ha fatto grandi colpi e grandi errori, siccome quest’anno abbiamo più volte citato i grandi colpi cerchiamo di ricordare gli errori: ecco, fra gli acquisti di un certo peso, diciamo quelli oltre i 15 milioni per il cartellino, l’unico errore degli ultimi anni che viene in mente è Manolas, mentre tutti gli altri che a Napoli non hanno sfondato, tipo Verdi o Rog, sono stati in qualche medo piazzati quasi al prezzo di acquisto. Il segreto, davvero di Pulcinella, è non prendere quasi mai giocatori vicini ai 30 anni o oltre, così che in caso di fallimento si possa sempre trovare qualcuno a cui piazzarlo con la storiella del potenziale e dell’upside. In sintesi: Giuntoli è bravo, anche se questo non lo ha esentato dall’essere anche in passato più volte nel mirino di De Laurentiis. Che adesso lo tiene fermo più per tigna che per volontà di andare avanti insieme.

La finale di Champions League segnerà la fine dell’era Zhang, comunque vada la partita con il Manchester City? Con i prestiti di Oaktree agli Zhang in scadenza nel maggio 2024 lo scenario della vendita la prossima estate ha cittadinanza, così come il passaggio dell’Inter al fondo come accadde al Milan con Elliott. Di sicuro l’Inter è al massimo della sua visibilità internazionale e nemmeno 10 anni di spese no limits assicurerebbero di potersi ripresentare ad un livello così alto, in quello che è il torneo per club più importante del mondo: nel calcio la classe media batte le figurine più che in altri sport e se la mettiamo sul piano delle figurine c’è chi ne può e ne potrà prendere di migliori. Insomma, se gli Zhang hanno una carta per rinegoziare il debito la devono giocare adesso. Per la verità la carta ce l’avevano ed era il bonus di ingresso nella Superlega dell’amico Andrea Agnelli. 

A proposito, miliardi di articoli e servizi grondanti bava sulla ‘Famiglia unita’ si scontrano con la realtà di una lotta per il potere che non fa prigionieri. La Juventus per non compromettere il suo futuro europeo ha infatti comunicato a Real Madrid e Barcellona che intende sfilarsi dal progetto Superlega: in altre parole, la metaforica testa di Agnelli offerta da Elkann a Ceferin, perché la UEFA chiuda un occhio, forse due, sulle irregolarità che hanno permesso uno sconto di 20 milioni sul settlement agreement. Ma se a luglio la Corte di Giustizia Europea si pronunciasse contro il monopolio UEFA e FIFA? Difficile sostenere che non ci sia un monopolio, visto che non esiste un circuito calcistico alternativo e visto soprattutto che chi lo progetta viene minacciato. Oltretutto in maniera selettiva, visto che non ci pare che il Real Madrid rischi l’esclusione dalla Champions. 

Sì, ci sono stati mille casi simili nello stesso e in altri club, ma riusciamo ancora a sorprenderci del modo leggero ed anche vile con cui gli addetti ai lavori scaricano personaggi ai quali fino a pochi giorni prima leccavano i piedi. Stiamo ovviamente riparlando di Paolo Maldini e del suo esonero da direttore tecnico del Milan, per la gioia di chi, in qualche caso anche milanista, lo aveva in antipatia e dei cantori del calcio-business, degli stadi di proprietà (meglio se con soldi pubblici) e del merchandising asiatico (a Shangai tutti con le magliette di Krunic), come se i tifosi fossero clienti: se lo fossero guarderebbero spettacoli più divertenti ed intelligenti del calcio. Certo Maldini ha nella testa il calcio in cui è cresciuto, che non è troppo diverso da quello attuale se non per il diverso nome degli acquirenti: c’era chi si poteva permettere Van Basten (peraltro pagato pochissimo), c’è chi si può permettere Haaland, agli occhi di un tifoso generico i soldi di Berlusconi non sono migliori o più puliti di quelli degli arabi. In quattro anni da dirigente senza precedenti esperienze Maldini ha fatto tante scelte giuste e tante sbagliate, come del resto tanti ‘re del mercato’: l’elenco è facile, i risultati sono comunque arrivati. Aver tenuto a distanza i giornalisti, gli ultras e i maneggioni gli ha portato freddezza da parte degli addetti ai lavori e anche di tanti ex compagni, tranne quelli con cui aveva più affinità (Costacurta, Pirlo e Shevchenko, per dirne tre). Facile prevedere che fra uno o due giri Maldini sarà invocato come il salvatore della patria.

stefano@indiscreto.net

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