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Finale di Mourinho© AS Roma via Getty Images

Finale di Mourinho

La Roma dopo Budapest, il modello Siviglia, Casadei contro la narrazione e la Juventus nel silenzio.

Stefano Olivari

01.06.2023 16:23

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La partenza di José Mourinho sarebbe per i tifosi della Roma una delusione più grande della sconfitta nella finale di Europa League contro il Siviglia, brutta soltanto per chi crede (fra questi molti proprietari di club, oltre agli esterofili di professione) che il calcio sia uno spettacolo come il wrestling e non appartenenza, tifo, identità. Eppure da un punto di vista razionale la stagione della Roma e quindi di Mourinho in rapporto alle aspettative è stata un disastro: prima dell’ultima partita con lo Spezia di domenica sera stiamo parlando di una Roma sesta in classifica come l’anno scorso, con il rischio di arrivare settima e quindi fuori dall’Europa League oltre che dalla Champions. Tutto questo con il terzo monte ingaggi della serie A dopo Juventus e Inter, che stronca sul nascere la retorica degli outsider, della rosa insufficiente e degli infortuni (quelli muscolari, poi, sono una colpa di allenatore e staff, non malasorte). Certo nessuno poteva aspettarsi che Belotti segnasse 4 gol in tutta la stagione, per fare un facile esempio di flop fra i tanti, ma lo scorso giugno il centravanti titolare della Nazionale di Mancini contro l’Argentina era lui. Restringendo il discorso a Mourinho, la separazione delle strade ha più contro che pro sia per lui sia per la Roma. Per lui perché in altri contesti da Mourinho, mettiamo il ritorno al Real Madrid di cui si parla da anni, qualsiasi risultato diverso dalla vittoria porta al linciaggio, per i Friedkin perché hanno sempre l’Olimpico pieno e perché con Mourinho hanno un allenatore che rende credibile qualsiasi progetto. Certo la finale di Budapest è benzina sia per i cultori dello Special One, orgogliosi dello spirito e della compattezza mostrati dalla Roma, sia per i suoi detrattori che nelle sceneggiate a bordocampo vedono l’unico schema. La convenienza reciproca lavora a favore della terza stagione di Mourinho alla Roma, ma non azzardiamo risposte che non hanno nemmeno i diretti interessati.

La settima vittoria del Siviglia fra Coppa UEFA ed Europa League, settima in 18 stagioni (!), anche dopo una sconfitta ai rigori (peraltro non casuale, visto che i tre migliori rigoristi della Roma, cioè Dybala, Pellegrini e Abraham, erano già usciti dal campo), rende obbligatoria la solita domanda: perché l’Italia non vince questo torneo da 24 anni, dai tempi del Parma di Malesani (e Buffon, tuttora impegnato nei playoff di B…) e comunque nella media si è sempre comportata meglio in Champions? Inutile riproporre le solite statistiche, veniamo al punto. Che è il seguente: dopo il deserto degli anni Dieci, dove dietro alla Juventus c’è stato pochissimo per tante ragioni, le squadre italiane con grandi ambizioni sono più di quattro e per chi vuole innalzare il proprio status una piccola coppa è sempre meglio di nessuna coppa. Un po’ il meccanismo dell’età dell’oro, quando in 11 stagioni, dalla 1988-89 alla 1998-99 (fra l’altro l’ultima con la Coppa delle Coppe), l’Italia vinse la Coppa UEFA 8 volte (Inter 3 volte, Juventus e Parma 2, Napoli una), con 6 sconfitte in finale (Fiorentina, Roma, Torino, Juventus, Inter, Lazio). Non vogliamo paragonare le due epoche, ma certo il numero di buone squadre in Italia sta aumentando. E poi la Roma della situazione gioca sempre in uno stadio pieno.

Battendo l’Inghilterra, cioè una delle grandi favorite per la vittoria finale, l’Italia di Nunziata, Casadei e Baldanzi è adesso ai quarti di finale del Mondiale Under 20, con la prospettiva di incontrare la Colombia in una parte di tabellone da cui è sparita l’Argentina padrona di casa, eliminata dalla Nigeria, e dove quindi sperare nella finale, mai raggiunta nella nostra storia (ci sono però andati vicino sia Evani sia Nicolato), non è fantacalcio. Ma al di là di un’attualità che andrà aggiornata domenica sera, magari con altre sorprese in formazione (e l’esclusione di Pafundi senz’altro lo è stata), una considerazione generale si può già fare: le due fallite qualificazioni al Mondiale vero hanno generato un pessimismo cosmico ed un’autoflagellazione non proprio giustificati, visto come si stanno comportando club, nazionali e pubblico, televisivo e non. L’aspetto davvero inspiegabile della narrazione del calcio italiano sull’orlo della scomparsa è però un altro: quale è il profilo del suo pubblico? A chi piace sentirsi dire che gli altri sono sempre più intelligenti e che sempre lavorano meglio?

Come è possibile che la vicenda della manovra stipendi della Juventus e delle sue partnership con mezza Serie A si sia chiusa a tarallucci e vino in un silenzio mediatico, con l'esclusione dei giornali, più imbarazzante che imbarazzato? Un marziano potrebbe osservare che il club bianconero è stato, con il meno 10 punti in questa stagione, buttato fuori dalla Champions League per un ‘non reato’ come le plusvalenze (sia pure con l’escamotage della slealtà sportiva, che permette di fatto qualsiasi sentenza politica), mentre per quanto riguarda fatti più oggettivi, oltre che più gravi dal punto di vista sportivo, se l’è cavata con pochi spiccioli di multa. Un marziano, appunto. La partita che si sta giocando alla UEFA è decisamente meno interessante, a meno che John Elkann non avesse come grande sogno di bambino la partecipazione alla Conference League. Però se questa situazione va bene ai presunti danneggiati, quelli che ogni domenica se la prendono con l'arbitro (peraltro pagato e condizionato anche da loro), bisogna farsene una ragione.

stefano@indiscreto.net

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