Giornale di critica e di politica sportiva fondato nel 1912

Il calcio italiano di trent'anni fa© AS Roma via Getty Images

Il calcio italiano di trent'anni fa

Le imprese di Inter, Roma e Fiorentina, la mentalità della classe media, la UEFA con la Juventus, la decisione di Spalletti e la Serie A in chiaro.

Stefano Olivari

19.05.2023 ( Aggiornata il 19.05.2023 16:40 )

  • Link copiato

Roma in Europa League e Fiorentina in Conference League, dopo l’Inter in Champions. Tre italiane nelle finali delle tre coppe europee come nel 1994 (Milan in Coppa Campioni, Parma in Coppa delle Coppe e Inter in Coppa UEFA), anche se il peso finanziario e sportivo della Serie A del mondo non è paragonabile a quello dell’epoca e meno che mai a quello del 1989 (Milan vincitore, Sampdoria finalista, Napoli vincitore) e del 1990, con il triplete di vittorie di Milan, Sampdoria e Juventus (in finale sulla Fiorentina), con l’asterisco delle inglesi assenti. Da non dimenticare nemmeno le tre finaliste del 1993 (Milan sconfitto, Parma e Juventus vincitori) e quelle del 1998 ma su due sole Coppe (Juventus sconfitta in Champions, poi Inter-Lazio di Coppa UEFA vinta dai nerazzurri). Il confronto fra epoche diverse finisce qui, visto che l'Europa League è soltanto formalmente l'erede della vecchia Coppa UEFA, a cui partecipavano le seconde, le terze e le quarte dei campionati più importanti a meno che una di loro non avesse vinto la coppa nazionale (nel qual caso andava in Coppa delle Coppe), insomma le squadre che oggi formano la base della Champions, e che la Conference League vale pochissimo. 

Questo non toglie che rapportato al presente il risultato dei club italiani sia un’impresa: classe media che batte la migliore classe media d’Europa e, nel caso dell’Inter, se la gioca alla fine con una corazzata. Parlare di programmazione e di tendenze è azzardato, pensando all’ultimo decennio. La curiosità è che si tratta di tre proprietà straniere, che soprattutto nel caso di Europa e Conference League sono state decisive: ‘coppette’ per cui non sacrificare il campionato per un presidente italiano, anche di provincia, vetrina internazionale che accresce lo status del club per gli altri. Ecco, hanno ragione gli altri. Lo si diceva quando guardavamo le finali degli altri, lo si deve dire anche adesso se non si vuole fare anti-italianismo un tanto al chilo: chi l'anno scorso sbavava per Eintracht-Rangers cos'ha contro la finale della Roma?

L’uscita di scena della Juventus in semifinale a Siviglia toglie le ultime remore alla UEFA per quanto riguarda l’esclusione dalla prossima stagione europea: un provvedimento contro la vincitrice di Europa League sarebbe stato imbarazzante per tutti, a livello di immagine, così invece aspettando (fino a un certo punto) le sentenze della giustizia sportiva italiana si andrà verso lo scenario di cui i giocatori (e i loro procuratori) sono stati già informati dal club, cioè un anno di semi-Purgatorio per poi ripartire senza zavorre nel 2024. Lo stesso scenario italiano, fra l’altro. Chi ci sta ci sta, quindi. La malcelata strategia è quella di liberarsi di alcuni ingaggi pesantissimi, a partire da quelli di Allegri e Pogba, ma senza transazioni sarà difficilissimo.  

Che Luciano Spalletti e De Laurentiis si separino per una riconferma arrivata via PEC è impossibile da credere, anche tenendo conto della loro permalosità. Più probabile che l’allenatore per la prima volta campione d’Italia a 64 anni abbia annusato l’aria magari non di ridimensionamento, ma di cambiamento sì. Cedere al massimo del loro valore di mercato Osimhen e Kim sarebbe una mossa da bravi amministratori, applaudita da chi si emoziona per lo scudetto dei bilanci, ma Spalletti è da abbastanza tempo nel calcio per sapere che l’allenatore aziendalista è la prima vittima dell’azienda, e che l’amore dei tifosi può trasformarsi in insulti un minuto dopo (fra l’altro si ricorda quelli della primavera 2022 da parte degli stessi napoletani). Insomma, non ha alcuna voglia di creare un nuovo miracolo italiano facendo un passo indietro ma semmai vorrebbe aggiungere giocatori importanti ad una rosa che ha molte alternative in attacco e poche negli altri reparti. Quello che fanno il Real Madrid e il Manchester City, e con minore bravura il PSG delle figurine. In tutto questo la strana posizione di Giuntoli, promesso sposo della Juventus e della Lazio, forse anche di altri che stanno riflettendo sui loro uomini-mercato, ma ancora sotto contratto al Napoli e con De Laurentiis poco convinto dai candidati alla successione, non aiuta la serenità di Spalletti. Pronostico davvero da 1X2, dove la X è la permanenza di Spalletti con l’alibi già in canna.

Nessuno ha capito come la Lega intenda vendere i diritti televisivi dopo il 2024, quando scadranno gli attuali contratti con DAZN e Sky. Perché nei pacchetti resi noti qualche giorno fa si elenca tutto e il contrario di tutto, fra esclusive, co-esclusive parziali o totali, partite in chiaro, eccetera. L’unica cosa certa è che l’obbiettivo è ottenere dalle televisioni italiane, quindi dai telespettatori italiani, almeno 1,2 miliardi a stagione per la Serie A contro gli attuali 927,5 milioni da DAZN (840, con il contributo di TIM) e Sky (87,5). Evidentemente nella Lega pensano che l’interesse per il mitico ‘prodotto Serie A’ aumenterà del 20% nei prossimi anni, ma i dati e le tendenze degli abbonamenti televisivi dicono proprio il contrario. L’idea è quindi di sparigliare le carte, considerando Amazon un po’ come l’americano al quale vendere la Fontana di Trevi e aspettando la valutazioni di Mediaset sul Monday Night (che poi sarebbe un Saturday night, nel nostro caso) all’italiana. In generale il pendolo della storia sembra si stia spostando sul calcio in chiaro, quello che una persona normale di solito si fa bastare. 

stefano@indiscreto.net

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi