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Finale di Inzaghi© Getty Images

Finale di Inzaghi

L'Inter da Champions, il risveglio degli attaccanti, Zhang come De Laurentiis, il processo a Pioli e le richieste di Maldini

Stefano Olivari

17.05.2023 ( Aggiornata il 17.05.2023 10:32 )

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L’Inter è in finale di Champions League, dopo avere gestito bene anche la partita di ritorno con il Milan confermando la tendenza che vede la squadra di Simone Inzaghi prendere le misure a quella di Pioli (4 vittorie negli ultimi 4 derby, 7 gol a 0) al di là della evidente differenza nel livello medio dei singoli. Uno scenario inimmaginabile la scorsa estate, dopo il sorteggio nel girone di Barcellona e Bayern Monaco, ma anche due mesi fa con Inzaghi messo nel mirino non dai giornalisti cattivi ma dal fuoco amico, non poi tanto amico, che voleva mascherare i propri errori, per i risultati insufficienti in campionato. E adesso non soltanto al bar si può dire che Inzaghi è diventato ricercatissimo: al PSG farebbe tanto peggio degli ultimi che lo hanno allenato?

Una grandissima impresa, quasi una presa in giro nei confronti di chi per anni ha parlato di ‘Serie A poco allenante’, ma certo non un miracolo stando a quanto si è visto nel girone (all’ultima rilevazione il Barcellona ha vinto la Liga ed il Bayern è in testa alla Bundesliga a 2 giornate dalla fine) e poi con Porto, Benfica e Milan. Frutto di scelte nette di Inzaghi, alcune libere (il panchinamento di Handanovic, De Vrij e Brozovic, per Onana, Acerbi e Mkhitarian, con Calhanoglu spostato in mezzo) ed altre imposte dalle circostanze (Darmian per Skriniar), aspettando il risveglio delle punte che per mesi hanno vanificato la grande produzione offensiva dell’Inter, che ogni statistica avanzata ma anche la semplice visione delle partite colloca al livello del Napoli. Lautaro Martinez ha avuto grossi problemi alla caviglia e due mesi bui, Dzeko ha gli alti e bassi di un trentasettenne, Lukaku non si è visto per più di mezza stagione, il pallino Correa non pervenuto anche se spesso giocante. Ci sarà comunque tempo fino al 10 giugno per parlare della finale di Istanbul, la sesta nella storia dell’Inter in Coppa Campioni-Champions dopo le tre dell’Inter di Herrera (2 vinte e una persa), quella persa dall’Inter di Invernizzi contro l’Ajax di Cruijff e quella di Mourinho nel 2010, fra l’altro ultima vittoria italiana.

L’Inter degli Zhang tocca il suo punto più alto alla sua settima stagione, la quinta con Marotta alla guida: una proprietà non deve disegnare gli schemi, ma lasciar lavorare chi è capace ed eventualmente licenziarlo dopo. In questo senso la differenza con l’Inter di Moratti è evidente, in favore dei cinesi. Poi ci sono discorsi a loro sfavore, da fare in altri momenti: quando come proprietà copieremo la Bundesliga (altro che InterSpac) sarà sempre troppo tardi. Gli Zhang dal punto di vista finanziario si stanno avvitando e mai come in questo momento avrebbero l’opportunità di vendere il club alla massima valutazione possibile: certo prima del 2024 qualcosa dovranno inventarsi. Ma rimanendo al fatto sportivo, il loro bilancio è eccezionale se pensiamo a quale Inter gli fu consegnata da Thohir. Hanno per primi interrotto il dominio della Juventus, hanno fatto il loro in campo internazionale (da ricordare la finale di Europa League di Conte), hanno venduto il minimo indispensabile e, ribadiamo perché non è scontato, hanno lasciato lavorare i dirigenti fra successi e insuccessi (come definire la vicenda del main sponsor non pagante?). Un atteggiamento intelligente, proprio di chi non nasce come tifoso o appassionato di calcio: facili gli esempi di Aurelio De Laurentiis o di Lotito.

Soltanto la follia del calcio può portare qualcuno a processare Pioli, che se in semifinale fosse uscito contro il Real Madrid avrebbe avuto una statua equestre, peraltro già meritata con uno scudetto vinto con una rosa da quarto posto. Che da quarto posto è rimasta, dopo la campagna acquisti (che poi in senso stretto sono stati solo 2) fallimentare di Maldini, Massara e Moncada, fallimentare anche in proporzione al budget già non alto. Una situazione che in campionato Pioli ha a volte sottolineato con quelle mosse provocatorie che fanno parte del DNA di tutti gli allenatori (De Ketelaere centravanti, per dirne una) ed in generale sottoutilizzando tutti i nuovi, anche quelli con un bel potenziale come Thiaw o con una storia di discreto livello come Origi. Nei momenti decisivi della stagione è mancato Ibrahimovic, per quei pochi minuti in campo di puro carisma (a 42 anni rimane giusto quello) e per la capacità di scuotere la classe medio-bassa dello spogliatoio ed anche lo stesso Pioli: visti i messaggi che gli sono pervenuti sul suo futuro non siamo sicurissimi che abbia tifato Milan con tutto il cuore.

Per i rossoneri si può riciclare una considerazione fatta nei quarti di finale: il Napoli senza Osimhen dell’andata e con mezzo Osimhen del ritorno è la stessa situazione che il Milan ha dovuto gestire in semifinale con Rafael Leão. C’è chi è più bravo e chi meno, fra giocatori e allenatori: il processo a Pioli, visti i ‘rinforzi’, è assurdo. E indirettamente lo ha detto anche Paolo Maldini, chiedendo alla proprietà nuovi investimenti: perché il Manchester City 32 milioni li può buttare via per il venticinquesimo giocatore, mentre il Milan non può farlo per l’acquisto dell’estate. Guardando le cose con un minimo di prospettiva, questo Milan low cost di Maldini e Pioli in due anni è stato campione d’Italia e semifinalista di Champions League: se questo è un fallimento allora quasi tutti vorrebbero fallire così.

stefano@indiscreto.net

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