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Retrocessione con Ferrero© LAPRESSE

Retrocessione con Ferrero

Il futuro della Sampdoria, la classe media del Genoa, la Juventus di Giuntoli e le mani avanti da derby. 

Stefano Olivari

09.05.2023 ( Aggiornata il 09.05.2023 17:17 )

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La Sampdoria è adesso in Serie B anche per l’aritmetica, ma le potrebbe andare peggio. La retrocessione dopo 11 campionati consecutivi in A non è di per sé una tragedia, anche se la squadra valeva molto di più dell’ultimo posto: la tragedia è che il club sia ancora legato a Massimo Ferrero e alla sua impossibilità di ricapitalizzarlo, per tacere del resto. La nuova deadline, forse l’ultima, è quella del 6 giugno, ma il peccato originale rimane e per la milionesima volta va ricordato: la frettolosa (anche per pressioni familiari, di cui ha parlato lui stesso) cessione di Edoardo Garrone del 2014, che di fatto fu una donazione ad un personaggio già spericolato (eufemismo) nelle altre sue attività. In questo momento il fallimento, perché 200 milioni di euro di debiti per la Sampdoria sono come 2 miliardi per Inter o Milan dal punto di vista dell’appeal sul mercato, rimane lo scenario più probabile ma speriamo di sbagliarci. Dal punto di vista sportivo la cosa peggiore è che magari in questi ultimi anni a prendere le decisioni non è stato Ferrero. Come al solito lo si scoprirà fuori tempo massimo. 

Intanto il Genoa versione ‘Only one year’ (di Serie B, come da slogan degli americani di 777) sta festeggiando una promozione non così scontata, dopo avere iniziato la stagione con Blessin e promosso Gilardino a dicembre. Le squadre di A fanno sempre fatica a riprendersi, anche quando come nel caso del Genoa hanno la rosa di maggior valore. Un successo basato sulla difesa, su come Dragusin e Bani hanno protetto la porta di Martinez, sugli ultimi fuochi di Strootman in mezzo e su un attacco con buona fantasia (bravissimo Gudmundsson, alti e bassi per Aramu) e meno buoni numeri, che alla fine ha dovuto aggrapparsi ai gol del vecchio Coda. Su tutto c’è il fatto che questi americani del Genoa sembrano del genere serio e con un pubblico che in B ha servito 20.239 abbonati si può tornare tranquillamente nella classe media con lo status di un Bologna o di una Fiorentina.

La Juventus non parteciperà ad alcuna coppa europea nel 2023-24, anche se dovesse arrivare fra le prime quattro in Serie A o vincere l’Europa League. Le motivazioni del Collegio di Garanzia del CONI, che aveva rimandato la palla alla Corte d’Appello facendo sperare il club bianconero, sembrano (anche per il tono) non lasciare spazio ad una totale cancellazione dei 15 punti di squalifica da plusvalenze tarocche, anzi, semmai il supersconto lo avranno alcuni singoli e la Juventus potrebbe cavarsela nell’immediato con un meno 9 che porterebbe la UEFA ad escluderla. Con buona pace dei giuristi di Google, colpevolisti e innocentisti, da Abodi a Gravina è chiara da settimane la piega politico-sportiva che sta prendendo la questione, che va allargata anche alla manovra stipendi e alle squadre affiliate: limitare i danni ad una o due stagioni, quindi penalizzazione afflittiva in questa e di partenza nella prossima, e tenere la Juventus in Serie A chiudendo entrambi gli occhi sulle colpe, comunque minori, degli altri. In ogni scenario rimane il problema Allegri, non per il suo ingaggio comunque mostruoso ma per la sua adattabilità ad una Juventus ‘giochista’ che davvero non è mai stata nella sua testa, al di là del fatto che i vari Miretti, Fagioli e Iling abbiano avuto spazio per gli infortuni dei presunti titolari. Giuntoli, o uno come lui, sarebbe più importante di un allenatore da progetto e/o venditore di fumo.

Bisogna scriverlo o dirlo prima di Milan-Inter: la squadra che uscirà viva dal derby milanese di Champions andrà a Istanbul in gita premio o avrebbe qualche chance contro Real Madrid o Manchester City? Per la sua stessa natura il calcio propone di continuo sorprese anche maggiori di una vittoria di Milan o Inter in Champions, anche se va detto che molto raramente le finali di Champions League dicono bene ad una squadra davvero inferiore. Se diamo un senso all’espressione ‘grande sorpresa’, quindi non una squadra semplicemente sfavorita, viene in mente soltanto il Celtic del 1967 in finale contro l’Inter di Herrera. Né il Milan né l’Inter attuali sarebbero in questa situazione, quindi le mani avanti e la retorica dell’outsider, prima ancora di giocarsela fra di loro, hanno un po’ stancato: chi vince il derby può alzare la Champions (l’ottava o la quarta seconda dei casi) senza far gridare al miracolo. E almeno per qualche mese i cantori del declino, quelli che 'Ah, ma le academy, i diritti televisivi', la cultura sportiva che ci sono all'estero', potrebbero prendersi una vacanza. 

stefano@indiscreto.net

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