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Educazione inzaghiana© Inter via Getty Images

Educazione inzaghiana

L'Inter di Lisbona, le risposte agli scenari, la Juventus Next Gen e i 75 anni di Lippi

Stefano Olivari

12.04.2023 ( Aggiornata il 12.04.2023 12:02 )

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Una squadra italiana in finale di Champions, 6 anni dopo la Juventus di Allegri, Higuain e Dybala che poi a Berlino perse 4-1 contro il Real Madrid di Zidane, Cristiano Ronaldo e Benzema. Dopo l’impresa, ma non miracolo perché le squadre sono dello stesso livello, dell’Inter in casa del Benfica e a poche ore da Milan-Napoli, questo scenario non è sicuro ma adesso è diventato probabile. Merito di un tabellone sbilanciato ma anche della natura del calcio, dove una classe media o meglio ancora medio-alta ben messa in campo può battere tutti, come dimostrano anche Napoli e Lazio in campionato: la Premier League produce grandi introiti, ma di Haaland ce n’è uno e anche con dieci club pronti a pagarlo come il City continua ad essercene uno. Il Benfica nelle ultime stagioni ha ceduto a prezzi stellari João Felix, Jovic, Ruben Dias, Darwin Nunez, Raul Jimenez, Enzo Fernandez ed altri, eppure nel suo girone ha eliminato la Juventus ed è addirittura arrivato davanti al PSG. Diciamo questo per prevenire la celebrazione del nuovo miracolo italiano, che nel caso i nerazzurri non si suicidino a San Siro durerà almeno fino alla finale del 10 giugno all’Ataturk di Istanbul.

Scendendo dal generale al particolare, bisognma anche dire che Simone Inzaghi si è guadagnato una vita supplementare da allenatore dell’Inter, una vita che può durare una settimana così come due mesi. Poi è difficile che il rapporto prosegua, nonostante il contratto già firmato fino al 2024: Inzaghi è da troppo tempo nel calcio per non distinguere invenzioni giornalistiche da scenari fatti circolare ad arte, imputandogli tutte le scelte di mercato sbagliate (in realtà solo una, sia pure pesante, cioè Correa) ed anche uno scudetto perso. Quando parla di 'educazione' è chiaro a chi non voglia rispondere, se non sul campo. Certo è che nelle partite senza domani lui è al livello dei grandi: non per invenzioni tattiche, ma per il fare il meglio possibile in una situazione data. Barella e Bastoni a livelli che non si ricordavano dai tempi di Conte, Brozovic accettabile dopo una stagione no, Acerbi sempre più Materazzi 2.0. Un merito di Inzaghi anche quello di essere arrivato fin qui senza i gol delle punte: Lukaku, al di là dei rigori pensatissimi, dà segni di vita, ma giusto segni, gli altri sono al minimo fisico (Dzeko e Correa) e di ispirazione (Lautaro Martinez). Poi ognuno rimane sulle sue posizioni: da Zhang a Marotta ad Ausilio i dirigenti sono convinti di avergli dato in mano una squadra da scudetto, con l’aggravante di essere un instant team (così si spiega la sanguinosa perdita di Skriniar a zero), l’allenatore con le statistiche avanzate in mano pensa di avere giocato nelle ultime due stagioni il miglior calcio d’Italia.

Il Vicenza di Thomassen ha vinto la Coppa Italia di Serie C battendo in finale 3-2 la Juventus Next Gen allenata da Massimo Brambilla: per la seconda squadra bianconera sarebbe stato il secondo trofeo, dopo quello vinto con Pecchia tre anni fa, ma è chiaro che per la casa madre gli obbiettivi sono diversi da quelli del Vicenza. Cioè far crescere giovani fuori dal contesto protetto della Primavera: è stato così con Fagioli, Miretti, Iling, Frabotta, Kastanos, Zanimacchia, Portanova, Dany Mota, eccetera. Pochi sono diventati da Juventus vera, molti da plusvalenze (in questi casi vere), tutti sono riusciti ad assaggiare il calcio professionistico senza l’ansia di non essere pagati a fine mese e con una visibilità che nessuna altra squadra di C puù dare. Detto questo, perché l’esempio della Juventus Next Gen, nata nel 2018 come Under 23, è rimasto isolato? Eppure tutti i grandi club sono pieni di diciannovenni che non sanno bene dove mandare. Forse un vero campionato italiano di seconde squadre, con limiti di età precisi (attualmente si possono avere in squadra 4 giocatori di oltre 24 anni), avrebbe più senso che vedere la Juventus isolata in C.

Marcello Lippi sarà mai ricordato come Bearzot? Domanda retorica, ovviamente: quel momento non è ancora arrivato e chissà se mai arriverà. L’allenatore campione del mondo 2006 compie oggi 75 anni e a suo onore va detto che si tratta di uno dei pochi tecnici del pianeta ad avere annunciato il proprio ritiro, due anni e mezzo fa dopo la fine dell’avventura cinese. Per gli standard del 2023 Lippi sarebbe ancora in grado di guidare una squadra professionistica e con tanti soldi veri in giro (non in Italia) le occasioni ci sarebbero, però dopo la Nazionale, con il Mondiale del trionfo ed il tragico Sudafrica 2010 (a cui comunque si era qualificato), ha lavorato soltanto in Cina e non avrebbe senso sporcarsi l’immagine senza bisogno di soldi. Il confronto Lippi-Bearzot è soltanto bar, anche se un bar che ci piace, per la dimensione epica che ebbe il Mondiale del 1982 e perché Bearzot ha di fatto allenato soltanto la Nazionale. Con il paradosso di essere accusato, lui tifoso del Torino con vaghe simpatie interiste, di essere filo-juventino visto che la sua Italia era basata sul blocco bianconero (in un momento di Italia-Argentina 1978 9 juventini in campo, più Paolo Rossi e Antognoni), mentre quella di Lippi è stata per forza di cose una squadra mosaico. Lippi, fra l’altro anche ultimo allenatore della Juventus ad avere vinto la Champions, sarà forse rivalutato con il tempo: con la Juventus hanno vinto in tanti, con l'Italia davvero no. 

stefano@indiscreto.net

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