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L'avvertimento di Leão© AC Milan via Getty Images

L'avvertimento di Leão

Il Napoli distrutto, i gol di Lukaku, il giovedì di Sarri, Kean da Nazionale e il perché degli agenti.

3 aprile 2023

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La clamorosa vittoria del Milan al Maradona è importante per la zona Champions ma soprattutto è importante per questa, di Champions, visto che la doppia sfida al Napoli nei quarti di finale è dietro l’angolo: Milan-Napoli mercoledì 12 e Napoli-Milan martedì 18 aprile, con uno 0-4 stampato nella memoria di tutti. Il risultato della squadra di Pioli è stato costruito con una grandissima aggressività a centrocampo, Bennacer su tutti, quella agggressività che per tutta la stagione è stata il marchio di fabbrica del Napoli di Spalletti, oltre che con un Rafael Leão extralusso. Non a caso Anguissa e Loborka, di solito i migliori, sono stati i peggiori in campo per distacco. E adesso? Il Milan è terzo in classifica a 51 punti: 20 dietro il Napoli, visto che il campionato non è basato su una sola partita e non si possono cancellare sei mesi di grande calcio per una serata storta, 4 dietro la Lazio, 1 in più di Inter e Roma, 3 dell’Atalanta, 7 più della Juventus del meno 15. Per i rossoneri tutto aperto in campionato per il piazzamento, ma a questo punto anche in coppa pensando non soltanto alla partita di ieri ma anche all’andata, quando il Milan perse ma dominando per larghi tratti, fra pali e occasioni enormi, una squadra anche in quell'occasione senza Osimhen. Per farla breve: il Napoli già di fatto campione d’Italia giocherà la Champions non come un prestigioso di più, con la testa leggera, come avrebbe fatto con il Real Madrid o anche con un Milan depresso, ma con una pressione a questo punto enorme. Spalletti spera anche con una versione accettabile di Osimhen: al di là delle sottigliezze psicologiche e dei discorsi sul gruppo, giocare senza il proprio miglior giocatore non è mai un vantaggio. I 20 punti di differenza spiegano una stagione, ma non le singole partite.

La crisi dell’Inter di Simone Inzaghi, che con la Fiorentina ha perso la decima partita di campionato su 28, ha tante cause (il disastroso rientro di Brozovic, tanti giocatori in partenza, una difesa meno attenta dell'anno scorso) ma si può dire che sia in gran parte la crisi dei suoi attaccanti: a partire da Lukaku 2, la grande scommessa, che è in chiara ripresa fisica ma ancora sbaglia occasioni da gol clamorose. Poi Dzeko ha 36 anni e può essere al massimo una riserva di qualità in un instant team (quale l’Inter peraltro è, come anche il caso Skriniar ha dimostrato), Correa in quasi due stagioni nerazzurre non è mai stato quello della Lazio e Lautaro Martinez va a periodi: decisivo in gennaio, confusionario poi. Qualsiasi indicatore statistico avanzato dice che l’Inter è l’unica squadra di Serie A non lontanissima dal Napoli come differenziale tra fase offensiva e difensiva, ma preferiamo parlare come nostro nonno, senza expected goals o cose simili, e dire che con attaccanti diversi o con un Lukaku all’altezza di metà del vecchio Lukaku, non saremmo qui a guardare le quote dei bookmaker per l’esonero di Inzaghi. Davvero improbabile a stagione in corso, qualsiasi cosa succeda: e per il futuro, vista la pazzia del calcio, magari sarà salvato proprio da quel Lukaku che non ha rifiutato ma che nemmeno aveva chiesto (operazione portata avanti da Lukaku stesso e Marotta, con il Chelsea favorevole). Domani l’andata con la Juventus vale ovviamente più della Coppa Italia.

Sarri ha consolidato il secondo posto della sua Lazio andando a vincere sul campo di un Monza che per molti versi può essere il Sassuolo del futuro: proprietà solida, giocatori di qualità superiore alle ambizioni, pochi tifosi, zero pressioni, notevole distanza sia dalla retrocessione sia dall’Europa. Essendo senza le coppe (e non è un complimento, visto il modo in cui sono maturate le eliminazioni), sarà molto difficile per le pari grado fare meglio. E se la Juventus dovesse almeno nel breve periodo (in quello medio è impossibile che eviti penalizzazioni, inutile riscrivere sempre lo stesso articolo) avere indietro i suoi 15 punti è prevedibile lo psicodramma di Inter, Milan e Roma, con l’Atalanta tutt’altro che spettatrice. Non avere impegni infrasettimanali è un vantaggio? Indubbiamente sì. Ma la demagogia di Sarri e di altri sulle troppe partite con rose come quelle attuali non ha senso: la Lazio, cioè la squadra di Serie A che utilizza meno giocatori, finora ne ha comunque fatti scendere in campo 22. Sarebbero due squadre. Rimane il fatto che quando Sarri si fonde con un ambiente, come fu a Napoli, si ha la sensazione di vedere qualcosa in più del calcio. 

L’anima italiana della Juventus, in gran parte anche imposta dalle circostanze, è un’anticipazione della Juventus del futuro, che calcisticamente potrebbe avere il volto di Del Piero: scenario che esiste al momento soltanto nei desideri dei tifosi, ma che ha comunque molto senso (anche per marcare di più il dopo Andrea Agnelli). Con il Verona ha risolto Moise Kean, che esiste da così tanto tempo che sembra abbia 40 anni ed invece ne ha soltanto 23, pur avendo vissuto diverse vite e avuto notevoli occasioni, dalla Premier League (malissimo con l’Everton) al PSG (molto bene, da riserva sempre pronta e segnante) alla stessa Juventus. Ecco, venendo da una settimana di Retegui sì-Retegui no va detta una cosa anche su Kean, italiano in tutto e per tutto (in particolare per quanto riguarda la formazione giovanile, che dovrebbe essere l’unico criterio quando si parla di calcio), passato da tutte le nazionali minori ma ormai archiviato nel file degli Zaniolo, dei Balotelli e dei Cassano. Mancini non ha mai avuto problemi nel recuperare casi difficili, oltretutto Kean lui lo ha fatto esordire in Nazionale a 18 anni. Ma la mancata convocazione a Euro 2020, per qualche allenamento svogliato più che per una bocciatura tecnica (fino a pochi giorni prima del torneo il c.t. lo considerava il vice-Immobile), ha rotto qualcosa e per entrambi è difficile tornare indietro anche poi Kean in azzurro si è visto (male) qualche altra volta.

La Federcalcio ha diffuso i dati, ovviamente quelli ufficiali, sulle commissioni pagate agli agenti dai club italiani nel 2022: in totale la bellezza di 205 milioni di euro, di cui un quarto, 51.336.558 euro, riferito alla sola Juventus. Seconda la Roma con 21.103.812, terza l’Inter con 20.569.533. Questo il podio dei club più amati dai procuratori, che da solo vale la metà dei soldi mossi, con la Fiorentina quarta con i suoi 13.564.065 euro, il Napoli quinto a 12.486.735 e il Milan sesto con 12.057.098. Ultimo in classifica e quindi in un certo senso vincitore di uno scudetto (certo non quello che i tifosi granata aspettano dal 1976), il Torino di Cairo a 2.007.500. Significativo che anche la classifica per numero di operazioni veda in testa la Juventus, con 65, con la Sampdoria seconda a 57 e l'Empoli terzo a 54, mentre la Lazio di Lotito è ultima con 16. La retorica sui procuratori cattivi è però degna di miglior causa, perché pagare commissioni alte significa di solito due cose: che si sono presi tantissimi (o pochi ma pesanti) giocatori a fine contratto o che le operazioni erano difficili per diversi motivi. Se poi vogliamo ipotizzare illeciti, va detto che per commetterli il procuratore disonesto ha bisogno della connivenza dei dirigenti delle squadre coinvolte: insomma, difficile che il calcio faccia guerra a sé stesso. Tutto da dimostrare, poi, che i soldi risparmiati sarebbero investiti sui settori giovanili, anzi si può tranquillamente ipotizzare che non lo sarebbero.

stefano@indiscreto.net

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