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Mancini e lo spirito del 1974© LaPresse

Mancini e lo spirito del 1974

La ricostruzione di Bernardini, l'Italia sempre uguale, l'esordio di Retegui e l'inno di D'Alessio e Clementino.

Stefano Olivari

24.03.2023 ( Aggiornata il 24.03.2023 11:35 )

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L'Italia non perdeva la prima partita di un girone di qualificazione europeo dal 20 novembre 1974, quando a Rotterdam la Nazionale in ricostruzione di Fulvio Bernardini perse 3-1 contro la grande Olanda di Cruijff, Neeskens, Haan, Krol, Van Hanegem, eccetera. Altro livello rispetto alla pompatissima Inghilterra di Southgate, ma anche un'altra Italia, nel senso che Bernardini mandò in campo quasi tutti giocatori che con il fallimento mondiale in Germania c'entravano poco o non c'entravano proprio: da Antognoni a Rocca, da Causio a Roggi, da Boninsegna a Orlandini. Unico titolare del Mondiale confermato fu Zoff. Ecco, la sensazione dopo la sconfitta di Napoli, comunque a due facce perché nel secondo tempo gli azzurri di Mancini hanno reagito bene e avrebbero meritato il pareggio, è che questa Italia non abbia davvero voltato pagina dopo il suo fallimento mondiale: diversamente, facciamo soltanto un esempio, invece di Toloi e Acerbi avrebbero al centro della difesa giocato Scalvini e Romagnoli. Stesso livello, ma con più futuro. Ovvio asterisco su 'fallimento', visto che nel 1974 gli azzurri di Valcareggi parteciparono ad un Mondiale a 16 squadre e nel 2002 quelli di Mancini non lo hanno fatto in uno a 32.

L'Italia campione d'Europa del 4-3-3, con il centrocampo Barella-Jorginho-Verratti (al Maradona unico a salvarsi il giocatore del PSG) e l'incastro giusto in attacco trovato partita per partita, è probabilmente arrivata al capolinea e non per motivi tattici, dall'equivoco del doppio regista al superlavoro chiesto ai laterali difensivi. Ha stancato anche la politica delle convocazioni monstre e delle porte girevoli, creando un gruppo troppo allargato dove tutti sembrano intercambiabili e quindi non indispensabili. Certo per Bernardini, che al di là della nostalgia non aveva fenomeni nemmeno lui, fu più facile cambiare visto che era arrivato al posto del c.t. che aveva fallito. Altra differenza non trascurabile, questa volta in favore del presente: per qualificarsi alla fase finale a 8 bisognava mezzo secolo fa arrivare primi in un girone che comprendeva due delle tre squadre europee più forti dell'epoca, Olanda e Polonia, mentre adesso per andare avanti si può arrivare secondi o addirittura passare dai playoff. Il disfattismo cosmico va almeno rimandato, dopo due gol presi da palla inattiva. 

Inutile vivisezionare l'esordio in Nazionale e come calciatore italiano di Mateo Retegui, positivo per il gol e per i movimenti da centravanti vero. Il punto non è mai stato se Retegui sia o non sia bravo, ma se esista un progetto per riempire la squadra azzurra e di rifflesso anche la Serie A di italiani anche alla lontana (legalmente basta un bisnonno) che costituiscano una solida classe media. Grazie alla povertà ed all'emigrazione italiana del passato tutto il Sudamerica può diventare riserva di caccia: chi non interessa a Scaloni ed al futuro c.t. del Brasile, mettiamo Ancelotti, può interessare a Mancini. Al di là degli aspetti etici e sportivi, non ci sembra un politica che motivi ad investire sui settori giovanili: le nazionali gestite come club tolgono senso alle nazionali, strano (o anche no, visti certi progetti arabi) che Infantino non intervenga in maniera decisa. 

L'inno di Mameli rivisitato da Gigi D'Alessio e Clementino ha fatto molto discutere, ma l'idea di di svecchiare certe esecuzioni è diffusa in tutto il mondo e poi i due cantanti campani non hanno fatto altro che enfatizzare l'aspetto 'marcia' dell'inno, che non era nelle intenzioni iniziali di Michele Novaro ma che nel corso dei decenni è prevalso. Insomma, non possiamo applaudire il rapper che al Super Bowl storpia l'inno americano e poi linciare D'Alessio e Clementino. Possono piacere o non piacere, ma è giusto che l'inno sia qualcosa di vivo e non un feticcio immutabile: bene fa la FIGC a cambiare qualcosa. Nel solco della tradizione italiana invece li fischi all'inno degli avversari, in questo caso nel peggio si è distinto il pubblico di Napoli con i fischi a God Save the King. Il tifoso medio della Nazionale è migliore di quello dei club? Abbiamo sempre pensato di sì, però magari ci sbagliamo. 

stefano@indiscreto.net

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