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Le cinque giornate di Napoli© LAPRESSE

Le cinque giornate di Napoli

Una superiorità nella storia, la reazione di Allegri, il finale di Lukaku e Ibra, la tensione di Mourinho e la pena per Trentalange

Stefano Olivari

20.03.2023 10:52

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Il Napoli di De Laurentiis, Giuntoli, Spalletti, Osimhen e Kvaratskhelia non è un miracolo, ma è un miracolo l’intensità con cui interpreta le partite di media difficoltà come quella con il Torino. Inutile metterla sul piano dei numeri, che pure sono clamorosi: questa squadra ha dentro qualcosa che le altre colpevolmente non hanno. Quindi o Spalletti, che comunque è sempre stato bravo (anche l'anno scorso al Napoli, senza andare troppo lontani), è diventato un genio del calcio a 64 anni, oppure ci dovranno essere allenatori e ancor di più dirigenti che dovranno spiegare un fallimento di queste proporzioni. Perché logicamente qualcuno arriverà secondo, terzo e quarto, i posti sono quelli e qualcuno li occuperà, ma non per questo avrà fatto una grande stagione anche se il marketing mediatico imporrà di dirlo. Siccome i punti di vantaggio del Napoli sulla seconda sono 19, non è fantacalcio pensare che possa essere battuto il record di scudetto vinto con anticipo, 5 giornate: record detenuto dal Grande Torino, dalla Fiorentina di Bernardini, dall’Inter di Mancini e dallla Juventus di Allegri. Ci aspettano due mesi di considerazioni di questo genere, ma già adesso meriti e demeriti sono chiari.

Al di là delle polemiche sul VAR e sul fallo di mano di Rabiot l’Inter-Juventus di ieri sera potrebbe essere stato uno dei meno importanti della storia, per le note vicende che in estate forse renderanno inutile qualsiasi sforzo dei bianconeri. Che hanno vinto il derby d’Italia in maniera operaia, compattati da un Allegri che sta destreggiandosi bene in questa stagione sospesa (per colpa dei vecchi dirigenti della Juventus e non dei poteri forti, che peraltro erano loro stessi e le varie emanazioni). Rimane il fatto che anche con il meno 15 Allegri ha portato la squadra dalla zona retrocessione quasi a quella Champions, visto che a 11 giornate dalla fine il Milan è a 7 punti di distanza: una grande e orgogliosa reazione, una risposta a chi considera Allegri soltanto un bravo (e a volte nemmeno quello) gestore. Non c’è in ogni caso da gridare al miracolo, visto che senza la penalizzazione la Juventus sarebbe a meno 15 da un Napoli che ha metà del suo monte ingaggi.

Difficile dire qualcosa di nuovo su Inter e Milan, con ogni bilancio legato alla qualificazione Champions come obbiettivo minimo e al sogno non impossibile di una finale, almeno il sogno, regalato dal sorteggio di Nyon. La squadra di Inzaghi sta iniziando a perdere pezzi fisicamente, soprattutto in difesa e sulle fasce: il suo finale di stagione dipenderà da un eventuale risveglio di Lukaku, essendo stato lui l’operazione di mercato della stagione forse è anche giusto così. La squadra di Pioli ha già visto svanire l’effetto del cambio di modulo e del ritorno di Ibrahimovic come motivatore: che in Serie A si possa essere decisivi a 42 anni è una bella storia per il Ibrahimovic e per i lettori, ma non per la Serie A e meno che mai per il Milan o per la Svezia.

Sempre per stare in immeritata zona Champions: un derby di Roma con i nervi tesissimi non è una notizia, così come non lo è che l’abbia vinto la squadra che più ne aveva bisogno, la Lazio di Sarri uscita tristemente da una Conference League, già triste di suo. Le squadre di Mourinho dall'Inter in poi sono sempre vissute di tensione e le tante espulsioni e ammonizioni non devono sorprendere: con Mourinho squalificato, nel derby oltre a Ibañez è stato cacciato dal campo anche il preparatore dei portieri (nel finale due espulsi anche per la Lazio), dopo che con il Sassuolo era toccato al match analyst. Di culto la lite con Lotito negli spogliatoi, ma tutto fa parte di un pacchetto ‘prendere o lasciare’. E la Roma da Mourinho ha avuto tanto, a partire dalla credibilità e dallo stadio pieno.

Tre mesi di inibizione per Trentalange. Si è chiuso nella sostanza quasi in niente il caso D’Onofrio, una vicenda di una gravità incredibile, la nomina di un narcotrafficante (agli arresti domiciliari al momento della nomina…) a capo della procura arbitrale. Per l’ex presidente dell’AIA, con dimissioni arrivate proprio per questa storia, enormi le responsabilità politiche anche senza entrare nel merito della sentenza, visto che il principale sponsor della carriera di D’Onofrio era proprio l'ex arbitro torinese. Tre mesi o non tre mesi, è chiaro che in calcio che salvasse almeno le apparenze Trentalange non dovrebbe tornare più. Perché la procura arbitrale, pur facendo meno notizia di un qualsiasi episodio da VAR, è quell’organo dell’AIA che determina le carriere degli arbitri, avendo funzione inquirente: può quindi indagare, e ancora più spesso non indagare, sulla loro condotta e quindi deferirli o no.

stefano@indiscreto.net

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