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Prandelli nove anni dopo© Getty Images

Prandelli nove anni dopo

Il ritiro di un allenatore amato, la Supercoppa sempre più araba e i contrasti del Torino

Stefano Olivari

14.03.2023 ( Aggiornata il 14.03.2023 12:18 )

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Il ritiro di Cesare Prandelli è una notizia e non soltanto perché si tratta di quello dell’ultimo commissario tecnico ad avere guidato l’Italia in un Mondiale, nell’ormai lontano 2014. È una notizia perché molto raramente un allenatore ammette di essere finito ed annuncia il proprio autopensionamento, come ha fatto Prandelli a Radio Rai. Del resto anche i tecnici più vecchi e malandati sperano sempre, sotto sotto, di rientrare nel calcio almeno come direttori tecnici, consiglieri, osservatori, qualunque cosa pur di non andare ai giardinetti. Poi non avviene, ma tutti in qualche modo ci tengono a chiudere la propria vita sentendosi ancora ‘mister’. In un’epoca in cui l’età media si è alzata per tutto e tutti, con Reja che allena a 78 anni, Zeman a 76 e Ranieri a 71, non è mai insomma troppo tardi, ma a 65 anni e mezzo Prandelli ha detto basta nonostante di puro nome potesse ancora sgraffignare contratti nel secondo e terzo mondo calcistico. Non è offensivo dire che il vero Prandelli dopo Brasile 2014 sia scomparso: le brevi esperienze con Galatasaray, Valencia, Al-Nasr, Genoa e Fiorentina, nessuna durata più di 6 mesi, sono state un tempo supplementare che Prandelli ha giocato quasi per forza, sentendosi troppo giovane per dire basta. Certo è che nella storia moderna della Nazionale, cioè da quando il c.t. non viene più scelto dagli allenatori federali (l’ultimo fu Cesare Maldini), Prandelli è stato il più amato insieme a Mancini, quello che, al di là delle vittorie ottenute (Lippi e Mancini) o sfiorate (Zoff e lo stesso Prandelli), intorno e dentro la Nazionale ha creato il clima migliore. La maglia azzurra non è quella di un club, Prandelli l’aveva capito meglio di tutti ed è per questo che dopo l’ottimo Euro 2012 il Mondiale l’ha bruciato.

Gli arabi non hanno ancora comprato il calcio italiano, ma la Supercoppa senz’altro sì visto che 4 edizioni delle prossime 6 saranno giocate in Arabia Saudita (di base 2 là, 2 no e 2 ancora là) e quasi certamente raddoppiando le partecipanti. Una sorta di Final Four, come già succede in Spagna, con le prime due della Serie A della stagione precedente e le finaliste di Coppa Italia: in caso di doppia qualificazione la precedenza al campionato, quindi con la teorica possibilità di vedere le prime quattro della Serie A, quel playoff che tanti vorrebbero. Non è il caso dell’edizione del gennaio 2024 a Gedda, visto che una delle quattro uscirà da Fiorentina-Cremonese. Il format non sarà fisso, quindi è difficile fare previsioni di incasso: magari dopo aver ospitato la Cremonese gli arabi vorranno tornare alla finale secca, comunque nello scenario economicamente peggiore la Supercoppa renderà poco più di 12,5 milioni di euro l’anno e quasi il doppio con le Final Four per tutte e 6 le edizioni. Di base il 10% dell’incasso andrà alla Lega ed il 90% alle partecipanti, come del resto è avvenuto anche per il recente Inter-Milan. Con le due squadre milanesi che si sono spartite circa 7 milioni. In estrema sintesi: si va verso il raddoppio, per ogni partecipante l’incasso di una grande partita di Champions League. È una cifra sufficiente per la perdita dell'identita? La risposta della Lega è stata un grosso sì. 

Dopo Milan-Salernitana, ennesima partita del campionato di ciapanò per i posti Champions che poi non si sa nemmeno quanti siano, si è completato il ventiseiesimo turno della Serie A e dopo due terzi di torneo si possono fare alcune considerazioni da non cancellare dopo un minuto, in base a quelle statistiche avanzate che non spiegano una partita ma una stagione sì. Tutte ovviamente confermano la pazzesca annata del Napoli, la cui superiorità è soprattutto nella fase difensiva: soltanto 65 tiri nello specchio della sua porta, contro ad esempio i 90 di Inter o Milan. Ma ci sono anche situazioni sorprendenti, come il Sassuolo terza miglior difesa della Serie A, la Lazio che ha una fase offensiva peggiore di quella della Fiorentina, la Cremonese destinata alla Serie B ma che però crea più occasioni di quasi la metà della Serie A (anche di Bologna e Lazio, per dire), il Torino ultima squadra per contrasti vinti, classifica che vede verso il fondo anche Napoli e Inter. Tutto questo per ribadire il peso specifico di un gol (vero, non expected) fatto o subito, oltre che degli episodi e l’importanza dell’immagine nella carriera di un allenatore: il giochista che poi crea poche occasioni, il grintoso che ha la squadra più molle, il tattico che non riesce a mantenere un vantaggio, eccetera.

stefano@indiscreto.net

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