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Il ritorno di Conte© Getty Images

Il ritorno di Conte

Il Milan dopo 11 anni, il flop del Tottenham, il futuro di Donnarumma e Verratti, la retrocessione di Galbiati e l'Italia di Retegui.

Stefano Olivari

09.03.2023 ( Aggiornata il 09.03.2023 15:32 )

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Il Milan che raggiunge i quarti di Champions League superando il Tottenham fa impressione ma non per il risultato, visto che il mercato gonfiato del calcio inglese induce tutti noi a sopravvalutarlo. Fa impressione perché i quarti della competizione per club più importante del mondo mancavano da 11 anni, da quando il Milan allenato da Allegri, con in campo Ibrahimovic, Thiago Silva e Seedorf, superò l’Arsenal di Wenger. Era già un Milan ridimensionato, con Berlusconi che non aveva ancora deciso cosa farne, ma in ogni caso nel calcio di oggi 11 anni sono una vita ed è impossibile, oltre che inutile, riassumere tutto ciò che è successo nel frattempo. Prima di fare il po-po-po aspettiamo Napoli e Inter, ma certo è che dietro l’inarrivabile, per attrattiva, Premier League una Serie A con dirigenti migliori sarebbe il secondo campionato del mondo senza neppure troppa fatica.

Milan-Tottenham, e più ancora Tottenham-Milan, sono stati l’ennesimo flop di Antonio Conte a livello internazionale. Perché in carriera ha ottenuto meno del potenziale, quando non direttamente fallito, con Juventus, Chelsea, Inter e adesso anche Tottenham. Se i trofei alzati possono essere anche questione di fortuna, la media punti non mente: fra il 2012, anno dell’esordio del Conte allenatore in Champions League, ed oggi, lui è il ventunesimo allenatore per media punti (1,40) fra quelli con almeno 25 presenze, moltissimo dietro a Luis Enrique (il migliore con 2,27), Ancelotti, Guardiola, eccetera, compreso Allegri con il suo 1,70. Ed il cinquantaseiesimo in assoluto, sempre contando solo l’ultimo decennio. E non ha mai allenato lo Sheriff Tiraspol... Ma al di là dei numeri l’uscita con il Tottenham non è piaciuta per il modo davvero poco intenso, poco alla Conte, di interpretare la sfida. Parte dell’ambiente lo ha già scaricato, lui vuole tornare in Italia per motivi personali, il contratto in scadenza a giugno è già una sentenza. È ovvio che la sua squadra sarebbe una Juventus operaia, comunque vada a finire il circo delle squalifiche e dei ricorsi, una squadra che si possa definire ‘La Juventus di Conte’ ed avere l’allenatore come frontman (la tendenza in Europa è invece opposta, fra finti umili e impiegati del club), ma per il momento è bar così come le altre ipotesi. Ovviamente il tiro a Conte di queste ore non è meno becero della statua equestre eretta in onore del Conte juventino, azzurro e interista.

L’ennesimo fallimento Champions del PSG delle figurine sta facendo notizia in tutto il mondo, visto che è stato anche quello dei due giocatori in teoria più forti del pianeta, Messi e Mbappé, pessimi anche nel ritorno con il Bayern. Ma nel nostro orticello siamo più interessati a Donnarumma, ieri buono, e Verratti, ieri invece ai minimi termini e colpevole anche di un errore da copertina. Entrambi sono protetti da megacontratti che nessuno al mondo si vorrebbe accollare, Verratti anche dal fatto di essere uno dei pochi gregari in contesto di All-Star e che sia da oltre un decennio in questo spogliatoio (speriamo versi ogni anno una percentuale a Zeman). Impossibile che Mancini metta in discussione i due campioni d’Europa (titolo per metà da assegnare a Donnarumma), anche per mancanza di alternative. La possibile rivoluzione del PSG (Messi 36 anni, Sergio Ramos 37, Neymar rotto, Mbappé che sogna il Real) potrebbe proiettarli nel ruolo di leader, e per l’Italia non sarebbe un male.

Italo Galbiati è stato giustamente ricordato da tanti come storico collaboratore soprattutto di Fabio Capello e come grande talent scout, artefice silenzioso di tante vittorie. Doveroso ricordare anche l’amarezza più grande della carriera, la retrocessione con il Milan 1981-82, sulla cui panchina lui aveva sostituito Gigi Radice alla seconda giornata del girone di ritorno. Non solo per la Serie B in sé stessa, che certo non era dipesa solo da quell’ultima giornata a Cesena (dove peraltro il Milan aveva vinto in rimonta), ma anche per le modalità: quel gol del Genoa a Napoli segnato da Faccenda, su un calcio d’angolo regalato da Castellini in un modo incredibile e che non avremmo mai più visto, rimane una pagina nera nella storia della Serie A. Legata al pareggio del Cagliari con la Fiorentina, fra l’altro, perché se i viola avessero vinto oltre a guadagnarsi lo spareggio scudetto con la Juventus avrebbero salvato il Milan mandando in B il Cagliari. Un calcio rimpianto da chi è troppo vecchio e da chi è troppo giovane, non certo da chi lo ha seguito come spettatore.

Mateo Retegui potrebbe diventare il primo centravanti nella storia della nazionale italiana a risultare sconosciuto al 99% degli italiani. Usiamo il condizionale perché il ventiquattrenne attaccante del Tigre, ma di proprietà del Boca, è per ora soltanto preso in considerazione dal c.t. in vista delle partite di qualificazione a Euro 2024 con Inghilterra e Malta, 23 e 26 marzo. Per caratteristiche una prima punta, è esploso soltanto da poco ed è già in possesso del doppio passaporto, quindi è ancora libero di scegliere visto che nell’Albiceleste non ha mai giocato. Detto che non è ancora stato convocato e che forse mai giocherà con la maglia azzurra, già il solo progetto è discutibile. Come può il figlio del c.t. dell’Argentina di hockey su prato sentirsi italiano? Non è evidentemente una questione di regolamenti, l’Italia si sta muovendo correttamente, ma soltanto di dare un senso al calcio per nazionali. E questo non c’entra con il fatto che Retegui possa essere un genio del calcio o uno scarso.

stefano@indiscreto.net

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