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Il Napoli senza Osimhen© Getty Images

Il Napoli senza Osimhen

I gioielli di De Laurentiis in esposizione, la verità su Anastasi e la clausola di De Zerbi.

Stefano Olivari

22.02.2023 ( Aggiornata il 22.02.2023 17:54 )

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Per quanto il Napoli potrà tenere Osimhen e Kvaratskhelia? Dopo la vittoria di Francoforte, con uno scudetto già quasi vinto ed una Champions League che promette bene, non è troppo presto per chiederselo. Perché ogni impresa europea della squadra di Spalletti aumenta la visibilità ed il mercato dei suoi gioielli. I quali hanno scadenze di contratto ancora non da zona pericolo: 2025 il nigeriano (che costa 6 milioni lordi a stagione), 2027 il georgiano che costa al club di De Laurentiis un quarto di Osimhen. Cifre basse anche senza citare la solita Premier League ed il solito mercato del Chelsea. Certo i calciatori hanno diversi modi, non tutti degni di lode, per farsi riconoscere il cambio di status ed in ogni caso la scelta non sarà soltanto contabile: alzare gli ingaggi dei big e a catena anche degli altri oppure evitare di innamorarsi? A giugno, a festeggiamenti conclusi, il tema sarà questo. E De Laurentiis con chiarezza ha già detto che ci sono offerte che non si possono rifiutare.

Anche Pietro Anastasi è da aggiungere ai morti di calcio. In un’intervista ad Avvenire il figlio Gianluca ha infatti rivelato che l’ex attaccante di Varese, Juventus, Inter, Ascoli e Nazionale non è morto di cancro (di cui comunque era malato), ma di SLA. Anastasi, scomparso nel 2020 a 72 anni, era rimasto profondamente colpito dalla storia di Stefano Borgonovo e nei suoi ultimi anni aveva molto riflettuto su tutti i farmaci che gli avevano fatto prendere in carriera, oltre che su altre possibili cause della SLA (colpi di testa compresi, con palloni che sembravano di pietra). Significativo che dopo la morte di Vialli il tema sia stato silenziato, ma non è necessario che una sostanza sia doping perché faccia male. Per essere più chiari: non è detto che se muore relativamente giovane l’ex calciatore della squadra X allora la squadra X è di sicuro dopata. Una questione prima di tutto culturale, perché nel 2023 non è ancora scomparsa la narrazione spazzatura sul miracoloso recupero del campione, sull’instancabile motorino del centrocampo, sulla freschezza atletica nonostante si giochi ogni tre giorni, sul calciatore attaccato alla maglia che stringe i denti perché sono tutte finali.

Roberto De Zerbi è diventato il mito di un po’ tutte le squadre italiane che l’anno prossimo cambieranno allenatore, nonostante la sua media punti in Premier League sia inferiore a quella dello stesso Brighton nelle prime partite della stagione sotto la guida di Potter. Ma al di là degli aridi numeri a contare è il pacchetto De Zerbi, cioè l’essere considerato un allenatore da progetto, uno da valutare su tempi lunghi mentre quelli brevi sono per i mestieranti da corto muso. Che abbia una clausola di rescissione da 13 milioni di euro non sorprende, quasi tutti gli allenatori di Premier League ce l’hanno e di solito serve solo a scoraggiare le fughe all’estero, tenendo i soldi all’interno del sistema (uno dei cardini ideologici della Premier League). La clausola, addirittura di oltre 20 milioni tutto compreso, non ha scoraggiato il Chelsea quando si è trattato di prendere Potter proprio dal Brighton, così come non ha scoraggiato il Bayern quando ha preso Nagelsmann dal Lipsia o il Real Madrid per il Mourinho post Triplete, con 16 milioni all’Inter, ma pagarla non è tanto nella cultura dei club italiani. Una cifra importante, 3 milioni, la spese soltanto la Juventus nell’estate 2019 per prelevare Sarri dal Chelsea. In sintesi: difficile che ci sia la coda per pagare 13 milioni al Brighton più l’ingaggio di De Zerbi, anche se in teoria un grande allenatore dovrebbe essere valutatio come un grande campione, anzi di più.  

stefano@indiscreto.net

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