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Gli attaccanti della Fiorentina© Getty Images

Gli attaccanti della Fiorentina

Gli investimenti di Commisso, il premio degli allenatori, il progetto di Mourinho e l'epoca di Castagner.

Stefano Olivari

20.02.2023 ( Aggiornata il 20.02.2023 17:04 )

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La più grande delusione della stagione, in proporzione agli obbiettivi, è senza dubbio la Fiorentina. Da prima scelta dopo le grandi metropolitane e i loro media martellanti a quattordicesima in classifica, con 11 punti in meno rispetto all’anno scorso dopo 23 giornate. Una differenza data quasi tutta dall’attacco, senza dimenticare che più di metà 2021-22 fu giocata con Vlahovic. Se la punta viola che ha segnato più gol in campionato è Cabral, che ne ha segnati 4, di cosa stiamo a parlare? Guardando gli expected goals, che non spiegano le singole partite (i gol si pesano, non si contano) ma le tendenze invece sì, notiamo che la squadra viola dovrebbe a questo punto della stagione aver segnato 31,91 gol, contro i 24 in realtà segnati finora. Un differenziale negativo più alto (cioè, in parole povere, attaccanti più scarsi in relazione al gioco prodotto) ce l’hanno soltanto Roma e Sampdoria, mentre, all’opposto, gira tutto bene all’attacco del Napoli al di là dei suoi meriti. Insomma, chiedere a Commisso e Barone di spendere, o di spendere meglio, non è soltanto un discorso da bar.

Il miglior allenatore della Serie A della scorsa stagione è stato Stefano Pioli: lo pensavano quasi tutti, adesso è arrivata anche la Panchina d’Oro con 33 voti su 46, davanti a Nicola e Spalletti (in B premio a Pecchia, in C a Baldini). Ma questo ormai è il passato, il presente è dato dalla capacità dell’allenatore del Milan di cambiare pelle, soprattutto alla luce del disastroso mercato estivo, legato all’investimento fatto su De Ketelaere, e di quello inesistente di gennaio. Non è che qualche buona prova di Thiaw cancelli i sei mesi precedenti… La svolta delle difesa a tre, implementata (male) nel derby di due settimane fa, sta dando qualche frutto a colpi di cortumusate (tre 1-0 di fila: Tottenham, Torino e Monza) alla Allegri ma anche per certi versi alla Capello: un onorevole piazzamento Champions dietro il Napoli è al tempo stesso il massimo ed il minimo per il Pioli di questa stagione, fin troppo aziendalista. Certo è che questo premio, assegnato dagli allenatori e non dai giornalisti o dai tifosi, è di quelli che contano.

Se Pioli con la qualificazione Champions è sicuro di allenare il Milan il prossimo anno, non si può dire la stessa cosa di Mourinho con la Roma. Anzi, un piazzamento del genere sarebbe per lui un’occasione invitante per salutare i Friedkin, che nella narrazione prevalente, ispirata in gran parte dallo Special One, stanno passano per quelli con il braccino corto quando in tre anni hanno messo nella Roma più di 800 milioni di euro fra acquisto (200 milioni) e finanziamenti vari, muovendosi oltretutto con gli ostacoli del settlement agreement con la UEFA, che condizionano ogni scelta (basti pensare al caso Zaniolo). Detto che contro il Verona la partita l’ha risolta Solbakken, uno che Mourinho non vede, e che il contratto gli scade l’anno prossimo, la situazione è un grande classico di quando si usa il nome dell'allenatore per avere credibilità in un ambiente nuovo: i Friedkin dopo tutto ciò che hanno speso sono legati ad un mani e piedi ad un progetto che al momento si chiama José Mourinho. E lui lo sa bene.

Con Ilario Castagner se ne vanno al tempo stesso una brava persona e un bravo allenatore, anche senza il doping della morte quasi tutti gli addetti ai lavori del calcio dicevano la stessa cosa del tecnico del grande Perugia secondo nella Serie A 1978-79 dietro al Milan della stella. Di solito questi lutti generano uno storytelling degno di miglior causa, che rivaluta qualsiasi epoca purché sia lontana del tempo. Ma la Serie A degli anni Settanta è tutt’altro che da rivalutare, è stata anzi la peggiore della storia per livello di gioco ed onestà, come lo scandalo del calcioscommmesse avrebbe solo in minima parte dimostrato. Però una cosa in positivo bisogna dirla: il calcio, non soltanto quello italiano (basti pensare che la Coppa dei Campioni in quella stagione fu vinta del Nottingham Forest, che due anni prima era in Second Division inglese), aveva dimensioni tali che una realtà di provincia bene organizzata, con giocatori magari sottovalutati dalla concorrenza (ma di veri campioni in quel Perugia c’era soltanto Bagni) e trovando l’anno sbagliato delle grandi poteva sognare in grande.

stefano@indiscreto.net

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