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Le ragioni di Tavecchio© Getty Images

Le ragioni di Tavecchio

I ricordi distorti, l'allungo del Napoli, il ritorno di Allegri, il dopo Gazidis e l'addio a Vito Chimenti.

Stefano Olivari

30.01.2023 ( Aggiornata il 30.01.2023 10:59 )

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Carlo Tavecchio è uno dei pochi grandi personaggi del mondo del calcio che dopo la morte, a quasi 80 anni, è stato ricordato in maniera peggiore rispetto  a come ha vissuto. Ed invece è stato un presidente della FIGC partito veramente dalla base e che tutto sommato per la base ha sempre lavorato, al di là del fatto che nella Lega Dilettanti convivano realtà amatoriali ed altre professioniste di fatto. In negativo sarà ricordato come il presidente della fallita qualificazione al Mondiale 2018, figlia del divorzio da Conte dopo il buon Europeo 2016 (e se ne è pentito anche Conte) e dell'assurdo governo ombra di Lippi, che non poteva essere assunto come direttore tecnico e che per la panchina della Nazionale scelse Ventura, preferendolo a Montella e De Biasi (perché i candidati fossero loro tre è uno dei segreti meglio conservati della storia). Va detto che dopo lo sfortunato spareggio con la Svezia la scelta di Tavecchio fu quella delle dimissioni e la differenza con il Gravina di 4 anni dopo non ha bisogno di essere spiegata. Quanto alla famosa frase su Opti-Pobà. che gli aveva scatenato contro il giornalistica collettivo, be', aveva ragione Tavecchio e oggi ce l'avrebbe ancora più di 9 anni fa quando la disse: i club italiani preferiscono il festival degli sconosciuti stranieri, anche a livello di Primavera, che lavorare sui giovani selezionati sul territorio. Da non dimenticare il suo impegno nel volontariato e proprio per l'Africa, da moltissimi anni, ma cosa ne sa il popolo di Twitter? Da riconoscergli anche un grande fiuto politico (e del resto lui la politica nella Democrazia Cristiana l'aveva fatta sul serio), visto che quella italiana fu tra le prime federazioni a sostenere Ceferin nella sua corsa per il dopo Platini all'UEFA, ed un impegno non di facciata per il calcio femminile.

Non si può scrivere ad ogni turno di campionato che il Napoli ha vinto il suo terzo scudetto, ma dopo la faticosa vittoria sulla Roma la tentazione è proprio questa. Nell'era moderna mai visto vincere lo scudetto a gennaio, questo è sicuro, nemmeno con squadre dominanti. Per Spalletti dopo la prima giornata di ritorno 13 punti sull'Inter, 15 su Lazio, Atalanta e Milan, 16 proprio sulla squadra di Mourinho, il tutto unito ad una varietà di soluzioni (Simeone, autore del gol della vittoria con la fattica collaborazione di Smalling, era entrato per Osimhen) figlie di spese intelligenti e di incastri entratti nell'anno giusto, perché l'anno giusto è questo visto che dal prossimo le richieste dei giocatori porteranno inevitabilmente a cessioni per i tifosi (meno per De Laurentiis) dolorose. Chi sta dietro va bene o male a turni alterni, certo è che l'Atalanta meno gasperiniana di sempre sta marciando ad un ritmo clamoroso e non sarebbe strano vederla seconda davanti a realtà con fatturati tripli o quadrupli. Tutto è ovviamente asteriscato dal meno 15 della Juventus, che sta inducendo qualcuno a fare calcoli troppo ottimistici: diciamo questo per la tempistica della sanzione, davvero strampalata, e non per il merito (fra poco le motivazioni della sentenza, che consentiranno qualche ragionamento). Al di là del fatto che ci possano essere aggiunte peggiorative...

Come è ovvio che sia, la squadra più condizionata dal meno 15 della Juventus è la Juventus, crollata in casa contro il Monza di un Palladino che è entrato in scena al momento giusto e che ha il phisique du rôle dell'allenatore per la Juventus del futuro. Quasi certamente senza Europa ma con una identità tecnica da ricostruire: non un lavoro da Allegri, visto che non ci sarà niente da gestire ma molto da costruire. In questo momento tutti sembrano peggiori delle loro versioni normali, da Bremer agli altri, e ci si domanda con quale testa Pogba (in panchina con il Monza) rientri in un contesto simile, in cui si parla di lotta per la salvezza quando magari si è già salvi o già retrocessi. 

Al Milan dopo la disfatta di San Siro contro il Sassuolo l'uomo nel mirino è Stefano Pioli, con il suo 2023 fin qui da incubo e le frasi fatte ("Bisogna lavorare") che sono peggio del silenzio. Certo i giocatori sono peggiorati perché quelli trainanti o sono fuori (Maignan, Ibrahimovic) o sono sottotono (Theo Hernandez, Rafael Leão), mentre gli acquisti di Maldini, Massara e Moncada, che vanno citati nel bene e nel male, sono stati tutti fallimentari. E Pioli non manca di sottolinearlo, dando poca fiducia all'aquisto top (De Ketelaere sostituito all'intervallo) e cercando di dimenticarsi gli altri. Però si tratta di un Milan tranquillamente da Champions, nella Serie A di oggi. Ad essere clamorosamente cambiata rispetto all'anno scorso è la società, nel senso che le idee di Elliott e soprattutto Gazidis erano chiare (migliorare il livello dellla squadra, alleggerire i costi, vendere al miglior offerente, qualificarsi per la Champions) mentre quelle di Cardinale no, al di là dello spendere poco. Ma tanti cali individuali rispetto all'anno scorso non possono essere colpa di Cardinale, non è che Kalulu sia turbato dalle strategie commerciali del club. Per questo Pioli, il principale artefice dello scudetto, sarà anche il primo a pagare nel caso la situazione precipitasse. 

Ci lascia, a 69 anni, Vito Chimenti che in tempi moderni da ottimo bomber di provincia, ma soprattutto di categoria, si è visto trasformato in figurina da storytelling. Sarà stato per i baffi e la corporatura, o comunque per l'aspetto da uomo adulto che aveva quando giocava (peraltro negli anni Settanta era così quasi per tutti), ma fuori tempo massimo Chimenti è diventato un mito e non soltanto per la sua famosa 'bicicletta'. Gli sarebbe piaciuto esserlo prima, così sarebbe salito su qualche treno importante come la Lazio di Maestrelli, soltanto sfiorata. Il miglior Chimenti giocatore è quello di Palermo, in B ma con la finale di Coppa Italia giocata nel 1979 contro la Juventus, quello dell'iconica Pistoiese 1980-81 e quello del Taranto, con carriera chiusa da una squalifica per illecito sportivo (alcuni giocatori del Taranto già retrocesso avevano venduto la partita al Padova). Era un'epoca in cui accadeva davvero di tutto, altro che rimpianto per i bei tempi andati, ma senza smartphone e email essere intercettati era davvero difficile (infatti furono denunciati dall'allenatore appena esonerato). Non si può mistificare la realtà dicendo che Chimenti sia stato un Gigi Riva incompreso, ma certo è stato uno dei nomi della nostra infanzia. Oggi i ragazzi ne hanno giustamente altri: di sicuro nessuno ha l'aspetto di loro padre. 

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