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Il mezzo scudetto di Spalletti© LAPRESSE

Il mezzo scudetto di Spalletti

Il Napoli campione d'inverno, la mano di Pioli, i cambi di Allegri, il caso Lukaku, il mercato della Lazio, Ancelotti senza spagnoli e l'addio a Roberto Dinamite.

9 gennaio 2023

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Il Vento del Nord soffia alle spalle del Napoli, che a Genova contro la Sampdoria ha disputato una partita di sostanza superando l’effetto Vialli, il dispiacere per il rigore sbagliato da Politano e il momento un po’ così di Kvaratskhelia. Campione d’inverno con due giornate di anticipo e una sola sconfitta, quella della ripresa del campionato contro l’Inter, più quasi tutte le operazioni di mercato rivelatesi giuste: cosa chiedere di più a De Laurentiis, Giuntoli e Spalletti? I punti sul Milan sono saliti a 7 e quelli sulla Juventus rimangono 7: venerdì sera Napoli-Juventus… Superato questo ostacolo, il principale avversario nell’inseguimento al primo scudetto dopo Maradona rimarrebbe il vittimismo alla Saviano, ma Spalletti e l’ambiente sembrano centrati sull’obbiettivo. 

Il finale di partita del Milan contro la Roma non è stato all’altezza della storia recente della squadra di Pioli: dal 2-0 fino a 4 minuti dalla fine al 2-2, per due situazioni nate da calcio piazzato ben sfruttate da una Roma che fino a lì letteralmente non era esistita. Colpa delle sostituzioni di Pioli? Non certo le prime due, visto che Bennacer rischiava l’espulsione e Pobega (entrato per Diaz) ha addirittura segnato, forse quelle poco prima dei gol giallorossi: un De Ketelaere inconsistente al posto di Giroud che di testa fa anche il difensore davvero non è da ‘mano di Pioli’. La Roma può essere contenta per l’iniezione di entusiasmo che magari avrà Abraham, per il Dybala coinvoltissimo in ogni azione, per la Champions che è ancora lì a 3 punti di distanza, per la capacità di Mourinho di provarle tutte, ma in generale non sembra del livello delle prime quattro.

Delle 8 vittorie consecutive della Juventus senza subire gol quella contro l’Udinese è stata fra le più convincenti, per quanto arrivata soltanto a pochi minuti dalla fine grazie all’assist di Chiesa per Danilo. E fra le tante cose che si possono dire della difesa, dove al netto dell’esterofilia Rugani sta facendo bene, bisogna dirne anche una di Allegri: che è fra i pochi allenatori italiani a sfruttare al massimo i cambi. Non perché spesso li faccia tutti e cinque, questo vale anche per gli altri, ma perché li fa sempre con l’idea di cambiare la partita e non soltanto con la logica impiegatizia di sostituire chi è stanco (o peggio ancora per dare qualche minuto agli scontenti, gestendo così il gruppo). A volte gli gira male, più spesso gli gira bene come con l’Udinese, a parte Milik per Di Maria che è stato imposto dalle circostanze. Paredes e Chiesa hanno dato una sferzata ad una partita discreta, Soulé e Fagioli hanno fatto il loro. Certo è una Juventus ridimensionata e cosciente di esserlo, la Juventus dei prossimi anni: ma il Real Madrid e il Manchester City non giocano in questa Serie A e nemmeno nelle prossime. 

L’Inter ha perso a Monza due punti pesanti, ma ancora più pesante, in ogni senso, è il caso Lukaku. Partito titolare contro il Napoli e riserva di Dzeko sabato sera, il belga è lontanissimo da una condizione accettabile anche se poi per caratteristiche tecniche e fisiche riesce quasi sempre a fare qualcosa di utile per i compagni, come si era visto con il Napoli. Il vero problema non è rispedirlo al mittente a giugno, visto che il prestito del Chelsea è libero, ma che gran parte del mercato nerazzurro per la stagione in corso sia stato condizionato da questa operazione, costata fra ingaggio e prestito quasi 20 milioni di euro. Ritardando, fra le altre cose, le gestione del rinnovo di Skriniar, che con il contratto in scadenza può davvero a questo punto chiedere ciò che vuole, usando la sponda del PSG o direttamente andando al PSG. In un mondo in cui si criticano quasi soltanto gli allenatori, raramente i calciatori e mai i dirigenti, bisogna dire che Marotta questa cosa l’ha gestita male.   

Altra rimonta subita dalla Lazio dopo quella di Lecce, ma questa volta la squadra di Sarri ha chiuso con il pareggio e non con una sconfitta, ma soprattutto è sembrata in buone condizioni fisiche fino alla fine. Come ha detto il suo allenatore, questione di cilindrata mentale, e del resto subire quel tipo di contropiede a 8 minuti dalla fine e sopra di due gol significa qualcosa di simile. Certo è che questa Lazio, al contrario della Lazio dell'anno scorso, è stata costruita quasi totalmente insieme a Sarri: vedere Cancellieri, Marcos Antonio e Maximiano inchiodati alla panchina fa quindi impressione. Spezia-Lecce, giocata in condizioni senza senso, è stato uno spot contro la Serie A, da mostrare ai convegni in cui ci si riempie la bocca con ‘il prodotto calcio’. Il Torino, anche per merito di Ochoa, ha buttato via un’occasione enorme a Salerno. Le due retrocedende, su tre, che hanno già giocato hanno dato segnali di vita, con una situazione societaria diversa la Sampdoria potrebbe anche salvarsi.

La sconfitta del Real Madrid di Ancelotti contro il Valladolid ha fatto notizia anche per un record amaro, comunque la si pensi. Per la prima volta nella sua storia, dopo 4.436 partite, il club più prestigioso del mondo ha mandato in campo un undici titolare senza un solo spagnolo. Courtois - Mendy, Rudiger, Militao, Alaba - Tchuameni, Kroos, Modric, Valverde - Vinicius, Benzema: bella formazione, ma se uno non guardasse le maglie potrebbe anche essere quella del Manchester United o del PSG. Il calcio senza identità territoriale può funzionare con progetti vincenti come quello del Real, ma appena si scende di livello (e nemmeno tanto) ci si rende subito conto dei limiti di questa visione.

Addio a Roberto Dinamite, scomparso a 68 anni per un tumore. Bisogna resistere alla retorica post mortem del tutti fenomeni: l’amatissimo attaccante del Vasco da Gama nonostante le statistiche davvero clamorose non è stato fra i migliori brasiliani della storia, ma ha giocato un Mondiale quasi tutto da titolare, quello 1978, e chissà come sarebbe andato in quello del 1982 (preso per i capelli, visto che Telé Santana lo chiamò soltanto dopo l’infortunio di Careca) se non lo avesse visto dalla tribuna. Va sempre ricordato che per il gioco di quel Brasile, basato su inserimenti e cambi di posizione, un centravanti-boa come Serginho era in teoria più utile di un grande realizzatore come Roberto Dinamite, peraltro anche lui con un gran fisico. Ma il dubbio rimane. Campione con un’esperienza europea breve e sfortunata, al Barcellona, durata di fatto soltanto quattro mesi e chiusa dal ritorno di Helenio Herrera sulla panchina blaugrana.

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