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Il messaggio di Pessina© Getty Images

Il messaggio di Pessina

Un azzurro per il Monza, il rinnovo di Maldini, la vendita di Zhang, il fuorigioco semi-automatico e gli arabi a Palermo. 

Stefano Olivari

04.07.2022 ( Aggiornata il 04.07.2022 14:54 )

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Silvio Berlusconi e Adriano Galliani non hanno voglia, rispettivamente a 86 e 78 anni, di prendere schiaffi dalle altre squadre di Serie A con il loro Monza neopromosso. E questo si sapeva. Meno prevedibile era che il Monza diventasse una destinazione interessante e credibile per un nazionale italiano di 25 anni come Matteo Pessina, che dall’Atalanta passa appunto al Monza in prestito con obbligo di riscatto fissato a 15 milioni in caso di salvezza. Al di là di quanto (non) sta succedendo a Bergamo, di cui parliamo da mesi e che è stato confermato anche da un Gasperini poco entusiasta, del calciomercato incommentabile a due mesi dalla sua chiusura e del caso personale di Pessina che a Monza è nato e nel Monza ha giocato dai 10 ai 18 anni, il messaggio è che nel 2022 per sconvolgere gli equilibri della Serie A anche ad alto livello basti davvero poco. Non avrebbe fatto quasi notizia, anzi ci sarebbe sembrata la sua collocazione naturale, un Pessina al Milan, all’Inter o alla Juventus. Però giocherà nel Monza.

Non dovrebbe essere una notizia nemmeno il fatto che Paolo Maldini e Frederic Massara abbiano rinnovato fino al 2024 i loro contratti con il Milan, visto che sono stati fra i principali artefici dell’ultimo scudetto. Invece lo è diventata, non per normali questioni di soldi (il direttore tecnico prenderà 2 milioni netti all’anno, quello sportivo poco meno di uno: niente di esagerato, considerando la loro importanza) o di lunghezza del contratto, ma per una visione aziendale molto chiara da parte del nuovo fondo proprietario del Milan, cioè RedBird, che poi era ed è (parliamone al presente, l’uscita di scena è lontana) la stessa di Elliott: chi si occupa dell’area sportiva ha la massima autonomia, all’interno di un budget prefissato, ma deve rimanere al proprio posto. Anche se è una bandiera, agli occhi degli americani di ieri, di oggi e di domani Maldini vale meno di Geoffrey Moncada, il responsabile dello scouting.

A proposito di fondi, non soltanto americani, non è un mistero che l’Inter sia fra i grandi club il candidato numero uno a cambiare proprietà visto che anche la stagione appena terminata, pur con il primo pubblico della Serie A, si concluderà con un passivo pesantissimo, non ufficializzato ma in zona meno 100 milioni di euro. La differenza con quanto accaduto (anzi, sta accadendo) al Milan è però notevole, perché anche nelle ipotesi più ottimistiche gli Zhang non rientrerebbero nemmeno di un terzo dei soldi reali messi nel club a vario titolo (capitale, finanziamenti, sponsorizzazioni della casa). Il punto non è quindi il numero o la qualità dei possibili compratori, quanto la volontà dei venditori di accettare una perdita. Tutto dipende dalle reali prospettive di un'entrata shock, per operazioni immobiliari (per il Real Madrid del primo Florentino Perez fu così), o altro. Se ne parla poco, ma fra i delusi per la mancata nascita della Superlega c'è senz'altro anche l'Inter, sostenitrice silenziosa del progetto di Agnelli e che soltanto con il bonus di ingresso (300 milioni di euro) garantito dai soldi di JP Morgan avrebbe risolto tutti i suoi problemi. 

Nemmeno gli amanti delle novità e della tecnologia sentivano il bisogno del fuorigioco semi-automatico, che farà il suo esordio al Mondiale in Qatar e che verrà poi gradualmente interrotto dappertutto. Non ne sentivano il bisogno perché già il VAR aveva tracciato un confine fra il calcio dei ricchi e quello dei poveri, ma anche perché con la nuova tecnologia la funzione del guardalinee viene quasi annullata, più che depotenziata. Chi ha maggiore personalità si trasformerà ancora di più in un vice-arbitro, segnalando qualsiasi cosa, chi si accontenta del gettone sparirà. Rimpiangere il passato, un passato spesso pieno di errori e furti clamorosi, non ha senso, ma ci sono innovazioni che sembrano superflue e che incredibilmente non vengono mai nemmeno discusse, sono calate dall’alto e basta. Con il terreno preparato dai Wenger della situazione, ma con il voto delle quattro federazioni britanniche che ancora nel 2022 conta per metà.

Il Palermo appena tornato in Serie B è diventato cugino del Manchester City, visto che il suo nuovo azionista di controllo (all’80%, a Dario Mirri rimarrà il 20%) è lo stesso, il City Football Group. Questo non significa che da Abu Dhabi arriveranno centinaia di milioni da buttare via, come è accaduto con il City dal 2008, da ben prima della gestione Guardiola. Le storie di New York City FC, Melbourne City, Yokohama Marinos, Girona, Troyes e altri club più o meno controllati sono contraddittorie, e i discorsi in aziendalese sull’entertainment non convincono: hai una squadra sempre fra le favorite della Champions League e vuoi fare entertainment a Palermo? In estrema sintesi: le vie del soft power sono infinite. La multiproprietà degli arabi ha un significato diverso da quella degli americani, che a sua volta è diversa da quella di De Laurentiis.

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