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La Roma da Conference League, il bivio di Gasperini, il Torino di Mondonico e la Serie A in vacanza.
La qualificazione della Roma alle semifinali di Conference League è poco più di niente, soprattutto se paragonata ai disastri del calcio italiano con la Nazionale e nelle altre coppe. Ma questo non toglie che quella con il Bodø Glimt sia stata la grande notte europea di cui aveva bisogno Nicolò Zaniolo, che a quasi 23 anni è nel momento giusto per il salto di qualità. Che poi lo faccia in giallorosso con Mourinho o altrove è un altro discorso, tutt’altro che prematuro visto che nel calcio di oggi un contratto che scade fra due anni è considerato in scadenza. Certo è che Zaniolo un po’ è quella ossessione mediatica di cui parla Mourinho e un po’ uno dei pochi calciatori italiani giovani che siano riconoscibili e credibili per essere il centro del mitico progetto.
Il progetto ce l’ha di sicuro l’Atalanta, e non da ieri: nel quadro generale l’eliminazione dall’Europa League con il Lipsia conta poco (ma non pochissimo: chi vince l'Europa League va in Champions) anche se è stata amarissima per le grandi occasioni sprecate all’andata e per certe situazioni girate male anche a Bergamo. Ma è evidente che la stagione della squadra di Gasperini sia stata molto sotto le aspettative, pur con un ottavo posto in campionato che può migliorare e tutte le spiegazioni del caso: la lunga assenza di Zapata, il caso Ilicic, la cessione di Gosens, la difesa spesso in emergenza, il difficile inserimento di Boga (anche con il Lipsia un disastro), eccetera. Questo proprio mentre il controllo del club passava dai Percassi agli americani. Detto che non si può valutare con lo stesso metro una squadra in cui i più pagati sono sui 2 milioni netti a stagione con altre in cui questa cifra la guadagna il ventesimo della rosa, di sicuro Gasperini è a un bivio e non parliamo di tattica, anche se ultimamente sta cambiando moduli con frequenza sospetta. Se il progetto di Pagliuca è quello di competere ai massimi livelli allora ha senso andare avanti, ma per fare la provinciale che riceve complimenti e pacche sulle spalle (magari dagli stessi che la derubano) il tempo è passato.
Il 15 aprile di trent’anni fa il Torino batteva 2-0 il Real Madrid nella partita più bella della sua storia moderna, conquistando una finale di Coppa UEFA che poi avrebbe perso di un niente contro l’Ajax. Era il Torino ad immagine e somiglianza di Emiliano Mondonico, con Marchegiani, Cravero, Pasquale Bruno, Fusi, Scifo, Martin Vazquez, Walter Casagrande e soprattutto Lentini, che quella sera fu il trascinatore. Il presidente era l’indimenticato Borsano e non si trattava certo di una squadra ricca, infatti l’estate seguente sarebbero partiti in tanti a cominciare da Lentini acquistato da Milan. Però era una squadra che aveva una identità fortissima, data anche dai Benedetti e dai Sordo della situazione, e che viene ricordata senza bisogno di schiacciare troppo il pedale della nostalgia. Ecco, in 17 anni da presidente del Torino Urbano Cairo, pur valendo molto più di Borsano, non è stato capace di ricreare quel clima: alla fine i tifosi, non soltanto del Torino, chiedono soltanto questo.
Lo stage di novembre della Nazionale di Mancini, per gentile concessione della Lega (che avrebbe fatto a rimandare il turno di campionato pre-Macedonia), ha dato una picconata forse definitiva al torneo che le squadre di Serie A avrebbero voluto disputare negli Stati Uniti o in qualche paese arabo in concomitanza con il Mondiale. Un’idea che già sarebbe stata tristissima con l’Italia qualificata, figuriamoci adesso. Probabile che ci si inventi qualcosa di simile al Torneo Estivo del 1986, mentre l’Italia di Bearzot era impegnata in Messico. L’alternativa sarebbe quella di due mesi di vacanze per tre quarti di Serie A.
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