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Inter di corto muso© Inter via Getty Images

Inter di corto muso

La migliore Juventus, il Napoli all'italiana, l'anno di Thiago Motta, il tracollo di Mazzarri ed il significato di Longobucco. 

Stefano Olivari

04.04.2022 ( Aggiornata il 04.04.2022 09:39 )

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Di corto muso l’Inter è uscita viva dalla trasferta sul campo della Juventus, anzi è tornata in vita dopo due mesi di occasioni perse e di calo fisico. Lo dice il risultato e lo dice l’intensità feroce con cui la squadra di Simone Inzaghi ha difeso il rigore di Calhanoglu, di fatto l’unico tiro nerazzurro verso la porta di Szczesny. Non lo dice certo il gioco contro la migliore e più aggressiva Juventus finora vista nella seconda incarnazione bianconera di Allegri, fra l'altro con il miglior Rabiot. Una Juventus che ha dominato il primo tempo, mentre nel secondo le situazioni di super-agonismo hanno preso il sopravvento, per non parlare dei mille episodi da moviola. Per la Juventus la prima sconfitta dopo 16 partite di campionato, l’uscita definitiva dalla lotta scudetto ma anche un messaggio per il futuro, insieme ai rimpianti per una stagione buttata: essendo l’unica realtà italiana con un azionista che metta di continuo soldi veri, il messaggio è che la ricreazione è finita. Quanto all’Inter, che comunque ha dimostrato di crederci ancora, e non è poco, essere a 3 punti dal Milan, 3 punti veri visto che ad entrambe manca di giocare con il Bologna, e dal Napoli è una grande notizia in mezzo a diversi problemi, primo fra tutti le punte ai minimi termini. 

Il pallino dello scudetto sembra comunque in mano al Milan ma il Napoli vincendo 3-1 sul campo dell’Atalanta ha detto diverse cose: la principale è che Spalletti ha saputo in questo momento della stagione cambiare un po’ faccia a seconda delle circostanze, giocando un calcio che una volta avremmo definito all’italiana. Difesa e contropiede, che nel linguaggio del 2022 diventano attenzione alla fase difensiva e ripartenze, oltretutto senza Osimhen anche se con un Insigne extralusso. L’Atalanta tradita dai suoi giocatori offensivi (Muriel impreciso, Malinovsky e Boga raramente così male) saluta definitivamente la zona Champions League ma forse non le speranze di un posto al sole, visto che ci potrebbe arrivare conquistando l’Europa League. Anche se in vista del quarto di finale contro il Lipsia sta perdendo i pezzi…

Da probabile esonerato a possibile allenatore dell’anno in pochi più di tre mesi: il calcio è questo e la stagione di Thiago Motta allo Spezia è stata questa. Senza l’impresa con il Napoli poco prima di Natale l’italo-brasiliano sarebbe stato sostituito, contatti erano già stati presi con Giampaolo e Maran. Adesso è invece quasi salvo, fra l’altro battendo quasi tutte le squadre di bassa classifica: Genoa, Sampdoria, Cagliari e sabato il Venezia, con l’ennesima partita in cui tutti hanno dato il 100%, che poi sarebbe il principale criterio per giudicare un allenatore. A proposito: lo Spezia di Thiago Motta è simile a quello di Italiano come numeri, ma certo non nel gioco (è molto più difensivo) e nella distanza dalla zona pericolo, che adesso è molto maggiore. Insomma, per quello che sta facendo, che ha cancellato le poche partite al Genoa, e soprattutto per il suo passato internazionale da calciatore, il nemmeno quarantenne Thiago Motta ha il physique du rôle per una grande panchina.

Fra le tante situazioni della zona retrocessione quella più clamorosa è il suicidio del Cagliari, che in teoria oggi potrebbe essere raggiunto dal Genoa al terzultimo posto. Quella contro l’Udinese è stata la quarta sconfitta consecutiva per la squadra di Mazzarri, ma al di là dei numeri (fra queste quattro anche le partite con Lazio e Milan) il tracollo con l’Udinese è pesantissimo per una squadra che inizio anno aveva cambiato marcia e che forse si è creduta salva troppo presto. Soltanto Cragno e João Pedro, di rientro dalla Nazionale, hanno dato segnali di vita, mentre Lovato è stato travolto da Beto. Ma l’ultima giornata preoccupa meno delle prossime sette, in cui il Cagliari ha soltanto due partite contro squadre senza bava alla bocca, Sassuolo e Verona, che comunque lo possono battere. Il resto? Juventus, Inter e le tre dirette concorrenti, Genoa, Salernitana ed il Venezia proprio alla fine. Un club con un organico da centro-classifica sta quindi rischiando davvero tanto.

L’attualità del calcio tritura tutto, ma non deve far dimenticare Silvio Longobucco, il terzino di Ternana, Juventus e Cagliari che è stato un’icona degli anni Settanta e che giocò anche una finale di Coppa dei Campioni, quella del 1973 persa a Belgrado dalla Juventus contro l’Ajax di Cruijff e Neeskens: il gol decisivo fu segnato da Rep al 5’, un colpo di testa in anticipo proprio su Longobucco che peraltro poi disputò una buona partita. In bianconero tre scudetti, una partenza non voluta (dopo le polemiche per il famoso pugno a Gorin) e una cosa che le statistiche non dicono: l’identificazione che lui, calabrese, faceva scattare in una parte del pubblico, mentre altri giocatori rappresentavano altre parti d’Italia. La differenza con il calcio di oggi è evidente: si giocava peggio, anche a causa di regole diverse e altri fattori, ma chi giocava rimaneva di più nell’immaginario collettivo. Un concetto sintetizzato bene da Longobucco, bravo professionista, più che dai campioni celebrati.

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