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Addio ad un grande uomo di sport, capace di non farsi schiacciare da colleghi dalla personalità debordante...
Alberto Michelotti di Parma, o 'da Parma', come si diceva e scriveva una volta, è stato un grande arbitro di calcio in un'epoca in cui gli arbitri potevano inventarsi qualsiasi cosa senza quasi che se ne parlasse, fatta eccezione per quei pochi minuti della moviola di Carlo Sassi alla Domenica Sportiva. Le partite in contemporanea, l'assenza di diretta televisiva (Michelotti aveva smesso di arbitrare nel 1981), i social network nemmeno immaginabili e tante altre cose facevano sì che l'errore, più o meno in buona fede, soltanto in rari casi rovinasse la carriera dell'arbitro. Per questo il rispetto dei giocatori valeva molto più di oggi, essere credibili era più importante che essere bravi.
E Michelotti era entrambe le cose, anche se la politica sportiva gli tolse la gioia suprema di arbitrare al Mondiale: internazionale dal 1973, in Germania gli fu preferito Aurelio Angonese ed in Argentina Sergio Gonella. Dopo il ritiro nessuna chiamata dall'AIA, e per molti aspetti non fu una sopresa, quindi rimase nel calcio facendo il dirigente di squadre minori e nello sport come dirigente della pallavolo (fu anche vulcanico presidente della Lega di A1 e A2). Appassionatissimo di musica lirica, famosa la sua iscrizione al Club dei 27, nei suoi 13 anni di Serie A, con 145 partite dirette, fu al centro di tante polemiche però mai nemmeno sfiorato dai tanti scandali di quel calcio autarchico, che solo l'industria della nostalgia permette di rimpiangere.
Michelotti faceva notizia per fatti legati al campo, come un'espulsione, con lunghissima squalifica, a Mariolino Corso in un Inter-Verona e come un rigore dubbio (fallo di mano di Anquilletti, però involontario) concesso al Cagliari contro il Milan il 12 marzo 1972, trasformato da Gigi Riva, che scatenò una lunghissima polemica di Rivera, in realtà non contro Michelotti, che oltretutto non dava rigori con leggerezza, ma contro il cosiddetto Palazzo. Infatti la squalifica di due mesi e mezzo a Rivera arrivò per successive interviste, non per sanzioni di Michelotti. E una pseudo-pace fra Michelotti e Rivera fu poi organizzata da Nereo Rocco.
Qualche mese dopo un rigore concesso all'Inter contro la Roma creò un caso nazionale, non perché il rigore fosse più dubbio di altri, ma perché moglie e figlie di Michelotti furono minacciate telefonicamente da tifosi giallorossi. Nel 1973, a 43 anni (ma all'epoca si poteva arrivare anche oltre i 50), Michelotti fu promosso internazionale insieme a Lattanzi e Giunti: una bella soddisfazione per uno come lui che aveva iniziato ad arbitrare tardissimo e che era uno dei pochi altri ad avere davvero giocato a calcio (fino alla Serie C).
Avendo una sua attività vera, un'autofficina, Michelotti non si faceva problemi nel dire come la pensava e pagò con una squalifica le critiche a quello che lui chiamava 'chiarugismo', da Chiarugi, di cui lui accusava anche Zigoni ed altri: in sostanza una campagna, davvero in anticipo sui tempi, contro i cascatori. Un'altra sua fissazione era la lotta all'ostruzionismo: da appassionato multisportivo propose più volte il tempo effettivo, che ancora adesso viene considerato dagli addetti ai lavori del calcio come qualcosa di eccentrico. Era spesso nel mirino di Inter e Milan, infatti diresse il suo primo derby milanese a 48 anni (quel giorno a protestare fu l'Inter). Una grande soddisfazione esserci nella finale di ritorno della Coppa UEFA 1978-79, fra Borussia Mönchengladbach e Stella Rossa Belgrado. Di sicuro un grande arbitro, che aveva scelto la difficile strada dell'autorevole invece della scorciatoia dell'autoritario.
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