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Il livello di Roma-Juventus© LAPRESSE

Il livello di Roma-Juventus

Il crollo di Mourinho, la Lazio poco sarriana, il Milan di Theo Hernandez, il momento di Insigne, il mistero Muriel e le regole che non sono regole. 

Stefano Olivari

10.01.2022 ( Aggiornata il 10.01.2022 10:55 )

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Roma-Juventus è stata uno spot a favore della Serie A o contro? Più la seconda cosa, vista la quantità incredibile di errori delle due squadre, che che nulla però toglie alle emozioni date dai ribaltamenti di una partita che la Roma stava dominando nel punteggio, sopra 3-1 e anche con un rigore non concesso per l’ennesimo fallo di mano di De Ligt, e nell’atteggiamento, prima Allegri buttasse in campo Morata e Arthur e cambiasse le cose. Un po’ per la inedita grinta con cui Morata è entrato e molto per la mollezza della difesa giallorossa: 3 gol juventini in 7 minuti e rimonta davvero da ricordare. Per la Juventus un’impresa che la tiene con vista sulla zona Champions e la farà andare mercoledì alla Supercoppa contro l’Inter con la certezza di avere tutti che remano dalla stessa parte. Magari non remano bene, o Allegri non è più capace di farli remare bene, ma per vincere una singola partita possono bastare carattere e qualità dei singoli. A proposito di singoli, grande paura per le condizioni del ginocchio sinistro di Chiesa e certezza che in Supercoppa non ci saranno Cuadrado e De Ligt. Quanto alla Roma di Mourinho, tutto è già stato stradetto: la rosa non gli è mai piaciuta, ma non sta piacendo nemmeno lui. Se il mercato di riparazione sarà il mercato dei Maitland-Niles meglio pensare subito al 2022-23. Ancora con Mourinho?

L’Inter ha difeso il primo posto in classifica battendo una delle migliori versioni della Lazio di Sarri in una sfida di grande intensità, decisa dai difensori e da una convinzione maggiore, ma anche da una produzione di gioco costante che anche in una partita sporca ha dato una statistica di 17 tiri a 5, con Bastoni sedicesimo marcatore stagionale dei neroazzurri. Un tipo di partita che una volta Simone Inzaghi soffriva, con la sua Lazio che otteneva sempre meno di ciò che meritava. Forse è cresciuto lui, forse ha soltanto rifinito bene il lavoro fatto da Conte sulla testa dei singoli, sta di fatto che fino a questo punto della stagione non avrebbe potuto fare meglio. Quanto alla Lazio, Sarri chiede interventi sul mercato ed è evidente che questi interventi andranno fatti soprattutto sulla difesa. Ma nel presente continuano a stupire la scarsa considerazione per Luis Alberto, anche a San Siro mandato in campo troppo tardi, ed in generale una prudenza non sarriana: la Lazio è a 9 punti dalla Champions League e con 39 gol subiti ha una fase difensiva da retrocessione, tanto varrebbe giocarsela con un altro atteggiamento, a meno di non voler galleggiare fino a maggio.

Il Milan ha stravinto con il Venezia e Pioli ha pescato la superprestazione di Rafael Leao che già al suo rientro dopo l’infortunio, l’Epifania contro la Roma, aveva regalato fiammate, mentre un Theo Hernandez devastante sulla sinistra non è più una notizia. Fra le prime quattro della classifica non c’è dubbio che il Milan sia la squadra che più si avvicina al 100% del suo potenziale, un bene e un male al tempo stesso. Una proprietà italiana, non diciamo tifosa rossonera ma italiana, riterrebbe un delitto non investire a gennaio 20 milioni di euro, per un difensore (con il Venezia nel reparto erano assenti in quattro) e/o una punta, per uno scudetto che appare possibile. Una americana chissà, potrebbe accontentarsi di essere accolta nel salotto buono.

L’addio al Napoli di Lorenzo Insigne, che da luglio giocherà a Toronto, da sicuro è diventato ufficiale e la cosa non è un dettaglio perché ogni suo errore in campo sarà analizzato con il metro del ‘traditore’, caro a molti addetti ai lavori schierati di default dalla parte dei dirigenti e a molti tifosi che sull’ex idolo scaricano la propria frustrazione. Certo per il Napoli non avere più un grande giocatore napoletano è una grave perdita, ed ancora più certo che i paragoni con le bandiere di un passato remoto e recente sono senza senso. Mazzola e Rivera non erano liberi, Totti, Del Piero e Maldini sono sempre stati pagati a livelli top. In ogni caso questo periodo di transizione per Insigne è iniziato male, visto che nella vittoria al Maradona contro la Sampdoria l’attaccante azzurro si è infortunato all’adduttore destro ed è stato sostituito da Politano alla mezz'ora. Al di là di Insigne, l’1-0 per la squadra di Spalletti non dice tutto, perché la vittoria, firmata da Petagna, è stata relativamente tranquilla. Le buone notizie su Osimhen, almeno per quanto riguarda la parte Covid dei suoi problemi, autorizzano Spalletti a sentirsi ancora in corsa per lo scudetto anche se si respira un’atmosfera da fine ciclo per troppi giocatori importanti.

Da scudetto rimane anche la solita super Atalanta da trasferta, per quanto questi ragionamenti nella quasi totale assenza di pubblico abbiano molto perso di senso. Il 2-6 subito dall’Udinese, anzi da mezza Udinese viste le assenze ed i mancati allenamenti, è esagerato, ma questo non toglie che l’Atalanta sia pronta a giocarsi le sue chance domenica prossima in casa contro l’Inter. La vera domanda è però un’altra e riguarda un giocatore conosciutissimo, in Italia da oltre dieci anni con la parentesi al Siviglia: perché Luis Muriel non è una stella del Real Madrid, con quattro Champions League vinte da trascinatore e qualche Pallone d’Oro? Colpa sua, ma non soltanto.

La Serie A non si ferma, dopo che i vari TAR hanno rimesso in pista quasi tutti sconfessando le ASL, ma almeno per le prossime due giornate dovrà fare a meno del pubblico. L’autolimitazione a 5000 spettatori è un segno di buona volontà, ma anche di cattivo futuro per un’attività che mantiene un senso soltanto attraverso il suo legame con il pubblico. Comunque la si pensi sul Covid, ed anche fra presunti scienziati siamo ormai al livello del bar, per lo sport il vero problema non sono le regole, ma le regole che cambiano quasi di giorno in giorno.

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