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Morini e gli anni Settanta

Morini e gli anni Settanta

Addio allo stopper di una Juventus indimenticabile, protagonista in un calcio forse inferiore a quello di oggi ma che senz'altro rimarrà di più nella memoria...

Stefano Olivari

31.08.2021 ( Aggiornata il 31.08.2021 16:30 )

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La morte di Francesco Morini non è soltanto quella di un ottimo difensore della Sampdoria e soprattutto della Juventus, ma anche quella di uno dei personaggi più riconoscibili (oggi si direbbe iconici) dei quindici anni di Serie A riservata soltanto agli italiani ed agli stranieri già in Italia alla chiusura delle frontiere. Una Serie A con un calciomercato limitatissimo nel tempo, che a volte per i giocatori della Nazionale terminava addirittura in maggio, e formazioni che cambiavano di poco da un anno all’altro, al punto che chiunque sia stato negli anni Settanta almeno un bambino ha stampato nella testa Zoff, Gentile, Cabrini, Furino, Morini, Scirea… era l’inizio della formazione della Juventus più Juventus di tutti i tempi, quella della stagione 1976-77 che vinse lo scudetto con un punto sul Torino e conquistò anche la Coppa UEFA, unico caso di coppa europea vinta soltanto con giocatori italiani.

In questo quadro Morini era la quintessenza del difensore da calcio all’italiana, in positivo e in negativo. Uno stopper vero, con il soprannome di Morgan (nel senso del pirata) che bene lo rappresentava. Nessun attaccante, a partire dai fuoriclasse come Riva e Boninsegna, voleva affrontarlo, per non parlare di Graziani, e la sua fama di giocatore falloso (e impunito) era in parte smentita dalle stesse sue vittime. Nel senso che Morini era sì duro e falloso, ma come altri della sua generazione. Quanto alla costruzione dal basso, nel calcio italiano dell’epoca non era prevista nemmeno nelle squadre più illuminate e tutto era demandato alla presenza di un libero di grande classe, come appunto Scirea, al quale Morini porgeva il pallone con memorabili passaggetti subito dopo averlo recuperato, come se scottasse. Senz’altro più elegante il suo stile fuori dal campo, tanto è vero che dopo il ritiro Boniperti lo volle praticamente subito come dirigente, con vari ruoli. Poi la storia con la Juventus si interruppe nel 1994, con l’inizio dell’era Moggi-Giraudo-Bettega e l’accantonamento di Boniperti, per non dire del mondo di Boniperti.

Morini è stato uno dei pochi protagonisti della Juventus anni Settanta, in pratica l’unico insieme a Furino, a non avere grande fortuna con la Nazionale, dove entrò nella parte finale del ciclo di Valcareggi ed uscì in quella della ricostruzione di Bernardini. I commissari tecnici, Bearzot compreso, gli preferivano Bellugi e come rincalzo il compagno in bianconero Cuccureddu. Ebbe però la soddisfazione di giocare un Mondiale, sia pure quello amaro del 1974, da titolare e di stare ai massimi livelli per quasi vent’anni, nonostante lui stesso, un po’ per posa, dicesse ironicamente di essere stato come giocatore “Un cane”. Ovviamente non era vero, anzi per i parametri dell’epoca Morini era del tutto degno di essere una colonna della Juventus. Che da giocatore lasciò con classe, una volta resosi conto che la sua presenza condizionava l’emergente Sergio Brio, per guadagnare qualche dollaro nei Toronto Blizzard della NASL (dove tre anni dopo sarebbe andato anche Bettega, su consiglio proprio di Morini) e poi, appunto, tornare in bianconero in altra veste.

Fra le tante curiosità di una grande carrriera c’è che il suo esordio in Serie A, con la Sampdoria, avvenne per un infortunio del futuro commissario tecnico dell’Italia Azeglio Vicini: contro la Roma, da mediano (il ruolo di Vicini in quella fase della carriera) improvvisato, fece una gran partita e non uscì più, conquistandosi poi il posto in difesa. Nel 1969 il passaggio alla Juventus, che fu a lungo indecisa fra lui e Giubertoni (in quell’epoca al Palermo, l’anno dopo sarebbe andato all’Inter), in una operazione famosa, che portò in bianconero anche Bob Vieri, il padre di Christian, in cambio di Benetti ed 800 milioni di lire. Come tutti i protagonisti di quell’epoca, Morini rappresentava un calcio non migliore di quello di oggi (era anzi spesso inguardabile, al netto della nostalgia) e nemmeno più onesto, senza per forza dover citare il calcioscommesse del 1980, ma certo con una distanza inferiore fra i campioni e chi li guardava. Un calcio senza tatuaggi, per un pubblico senza tatuaggi. E non a caso tanti di questi campioni, Morini compreso, anche nei loro giorni di gloria sembravano gente di famiglia. 

 

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