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Il Cagliari di Andrea Arrica

Il Cagliari di Andrea Arrica

Dieci anni fa ci lasciava uno dei più grandi dirigenti della storia del calcio italiano, architetto di un ciclo irripetibile, quello di Gigi Riva e di tutti gli altri campioni, che non si può definire miracolo...

Stefano Olivari

10.01.2021 ( Aggiornata il 10.01.2021 18:14 )

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Andrea Arrica è stato uno dei più grandi dirigenti della storia italiano, l'uomo alla base del Cagliari campione d'Italia 1969-70 ma soprattutto del cambio di status del club e forse, pensiamo di non esagerare, di tutta la Sardegna. Dieci anni fa, l'11 gennaio 2011, lasciava questa terra quello che nella memoria di quasi tutti è il presidente del Cagliari dello scudetto, anche se presidente in senso stretto lo sarebbe stato soltanto fra il 1973 e il 1976, le stagioni della smobilitazione e dell'amaro finale di carriera di Gigi Riva, fra polemiche e infortuni.

Già, Riva. Si può dire che l'età dell'oro di Arrica sia iniziata proprio con l'acquisto di quel diciannovenne del Legnano, nel mirino di tante società ma che Arrica nel 1963 riuscì a strappare per il Cagliari pagandolo 37 milioni e 500.000 lire. Arrica, che era entrato nello sport come delegato provinciale del CONI a Cagliari, del club rossoblu era socio di minoranza (la maggioranza era di Enrico Rocca, infatti presidente) e all'inizio non aveva alcuna carica ufficiale, però di fatto era sia direttore generale sia direttore operativo, occupandosi del Cagliari a tempo pieno. 

Sarebbe stato adattissimo al calciomercato di oggi, Arrica, perché con pochissimi soldi e utilizzando quasi soltanto scambi aveva creato una squadra clamorosa, che infatti nel 1970 avrebbe mandato ai Mondiali in Messico ben 6 giocatori: Albertosi, Cera, Niccolai, Riva, Domenghini e Gori. Fra i colpi da maestro Rizzo alla Fiorentina in cambio di Albertosi e Brugnera, Boninsegna all'Inter in cambio di Domenghini, Gori e Poli, ma soprattutto il coinvolgimento di grandi industriali con interessi in Sardegna nel finanziamento del Cagliari. Su tutti Angelo Moratti, non più presidente dell'Inter, e Nino Rovelli della SIR. Perché i giocatori forti in qualche modo potevano arrivare, ma poi bisognava anche pagarli e gli ingaggi di quel Cagliari erano del livello di Inter, Juventus e Milan. 

Sotto la presidenza di Efisio Corrias, senatore della Democrazia Cristiana, divenne vicepresidente, Arrica, e dopo lo rimase anche con Paolo Marras, diventando il numero uno del Cagliari soltanto nel 1973, quando la festa era già finita. Gli piaceva entrare nel merito delle scelte tecniche e fu per questo che non ebbe un grande rapporto con Manlio Scopigno: il suo allenatore del cuore era stato Arturo Silvestri, l'ex Sandokan del Milan.

Prima di tutti gli altri Arrica aveva inutuito la grandezza di Riva, prima di tutti gli altri ne intuì il declino e provò a venderlo in più occasioni, per rifondare il Cagliari su giovani locali e su sue intuizioni di mercato. Arrica non era amatissimo dai tifosi del Cagliari, che ancora oggi lo identificano più con gli anni del declino del grande Cagliari che con quelli della costruzione (anche del Sant'Elia, inaugurato nel 1970), ma era uno che capiva tantissimo di calcio (trent'anni dopo Cellino lo avrebbe volurto come consulente) e che nel luglio del 1973 era riuscito a concludere questo scambio: un Gigi Riva ventinovenne ma già molto logoro alla Juventus, in cambio di Bettega, Gentile, due giovani ed un conguaglio di 500 milioni. Ma la pressione della piazza e le indecisioni dello stesso Riva fecero saltare l'affare e stroncarono la rinascita della squadra. 

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