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Il punto più basso di Bearzot© LAPRESSE

Il punto più basso di Bearzot

La prima partita delle qualificazioni per il Mondiale in Spagna, l'11 ottobre del 1980 in Lussemburgo, portò il commissario tecnico a un passo dall'esonero. Con l'accusa, che due anni dopo sarebbe diventata un merito, di puntare sempre sugli stessi giocatori...

Stefano Olivari

11.10.2020 16:28

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L’Italia del Mondiale 1982 è un mito, più volte celebrato anche per l’importanza politica e sociale di quel trionfo. Una vittoria che fece dimenticare quasi subito le condizioni in cui Enzo Bearzot aveva lavorato, con critiche di una ferocia mai più riservata ad alcun commissario tecnico, nemmeno ai tanti che dopo di lui avrebbero fallito. Il massimo, anzi il minimo, di quel clima di linciaggio fu toccato non durante il girone di Vigo al Mondiale, ma due anni prima, proprio all’inizio delle qualificazioni per il torneo in Spagna.

Lussemburgo, 11 ottobre 1980: l’Italia iniziava il suo cammino mondiale dopo il quarto posto all’Europeo e in un ambiente ancora depresso per il calciscommesse e le relative squalifiche, prima fra tutte quella della stella della Nazionale, Paolo Rossi. La principale accusa che media e tifosi rivolgevano a Bearzot era quella di non cambiare mai formazione, in pratica veniva accusato di quella che dopo il 1982 si sarebbe come per magia trasformata in ‘coerenza’. Nella sua Nazionale era molto difficile entrare, non bastava un buon momento di forma nel proprio club, ma soprattutto era molto difficile uscire: Bearzot non scaricava i suoi giocatori nemmeno dopo una serie di prestazioni negative e nemmeno ai primi segni di declino.

A questo si sommava il fatto che l’Italia era da molti associata alla Juventus, per il gran numero di titolari azzurri che venivano dal club bianconero (in Spagna sarebbero stati sei su undici, sette se non si fosse fatto male Bettega), e che quindi era contestata in quasi tutti gli stadi in cui giocava. A volte anche a Torino, perché la parte granata della città riteneva sottoutilizzati i suoi giocatori… Comunque prima della partita con il Lussemburgo ci furono piccoli infortuni per Cabrini e Graziani, senza contare la squalifica di Rossi, quindi qualche cambiamento Bearzot dovette per forza farlo.

Così l’Italia iniziò il suo cammino verso il Mondiale 1982 con questa formazione: Zoff, Gentile, Baresi (Giuseppe), Oriali, Collovati, Scirea, Causio, Tardelli, Altobelli, Antognoni, Bettega. In panchina, all’epoca c’erano cinque riserve e due sole sostituzioni possibili (bei tempi): Bordon, Zaccarelli, Patrizio Sala, Bruno Conti e Pruzzo. Non c’è bisogno di grande memoria per osservare che, senza gli infortunati e Rossi, con l’unica eccezione di Causio scelto (ancora per poco) al posto di Conti, si trattava della stessa squadra che ci avrebbe entusiasmato due anni dopo. Una cosa quasi incredibile con gli occhi e le convocazioni di oggi, in stile porte girevoli, ma notevole anche nel calcio di quarant’anni fa. Fra i grandi delusi Vincenzo D’Amico, da poco passato dalla retrocessa Lazio al Torino, che Bearzot chissà perché considerava un tornante e che vide la partita dalla tribuna insieme all’altro granata Eraldo Pecci.

Certo nemmeno i critici di Bearzot si sarebbero aspettati una partita così brutta: nessuna goleada ma uno striminzito 2-0, gol di Collovati (che il giorno dopo avrebbe giocato con il Milan, in B, contro il Verona) e Bettega, con fallacci e scorrettezze che fecero terminare gli azzurri in 9 (espulsi Causio e Antognoni) contro 10. Gli azzurri avrebbero potuto segnare qualche gol in più, fra l’altro Antognoni spedì sul palo un rigore, ma certo è che quella partita fu giudicata da quasi tutti come una tragedia nazionale, soprattutto dai giornali di Milano e Roma che spingevano per i giocatori delle squadre locali, da Beccalossi a Turone. Per Causio fu forse la peggiore prestazione in carriera, del resto Bearzot aveva già nella sua testa deciso di puntare su Conti, che però nel secondo tempo sostituì non Causio ma Altobelli sulla fascia sinistra. Insomma, una brutta partita che però dal punto di vista mediatico si trasformò in una vergogna.

Con richieste di dimissioni di Bearzot, per fare posto a Liedholm o a chiunque altro. Italo Allodi, storico antipatizzante di Bearzot e direttore del Centro Tecnico di Coverciano, cercò di convincere il presidente federale Sordillo a cambiare allenatore, proponendo anche Bruno Pesaola (disoccupato dopo un'ottima stagione alla guida del Panathinaikos) e Cesare Maldini (esonerato in febbraio dal Parma e da poche settimane vice sulla panchina azzurra), ma Sordillo dopo un colloquio con Bearzot dai toni drammatici (il c.t. arrivò ad un passo dalle dimissioni, ma si guardò bene dal darle) decise di resistere in base a due considerazioni: il calcio italiano impoverito da quasi 15 anni di autarchia non era pieno di fenomeni trascurati da Bearzot, anzi era vero proprio il contrario, inoltre Bearzot era un parafulmini perfetto, le improbabili vittorie sarebbero state di tutti mentre le sconfitte tutte sue. Il resto è storia, ma certo è che la violenza di quelle polemiche contro Bearzot fu alla base di una sorta di esenzione dalle critiche per tutti i cicli azzurri successivi. A partire da quello 1982-1986, davvero tristissimo, dello stesso Bearzot.

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