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Il vero rivale di Mario Corso

Il vero rivale di Mario Corso

Il campione della Grande Inter degli anni Sessanta è morto e purtroppo ormai in pochi possono dire di avere visto le sue magie dal vivo. Un campione famoso anche per i dualismi, che non faceva differenza fra Rivera e Mazzola...

Stefano Olivari

20 giugno 2020

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Mario Corso è stato uno dei più grandi talenti della storia del calcio italiano, uno di pochi complimenti come Omar Sivori lo considerava inferiore soltanto a Pelé (e a Sivori stesso, immaginiamo), e non si può nemmeno dire che sia stato incompreso, visto tutto ciò che ha vinto con l’Inter di Angelo Moratti ed Herrera (ma anche di Fraizzoli e Invernizzi) e le opportunità che ha avuto di mettersi in luce in Nazionale: dalla prima apparizione in azzurro con Giovanni Ferrari commissario tecnico all’ultima con Valcareggi passarono 10 anni e quasi mai senza la maglia dell’Inter (gli ultimi anni al Genoa, ormai logoro, non fanno testo) Corso è stato all’altezza di Corso. Forse l'italiano più forte a non essere mai stato nemmeno convocato per un Mondiale. 

Come giocatore Corso è stato divisivo come pochi, al confronto la rivalità Mazzola-Rivera era uno scherzo fra amiconi. Nomi fatti non a caso, perché Corso detestava (ricambiato) il capitano del Milan, suo rivale per il posto in Nazionale pur avendo i due qualità diverse, ma soprattutto il compagno nell’Inter, che nell’era Fraizzoli accusava di pretendere la collocazione in campo desiderata, parlando con il presidente e saltando allenatore e compagni. Il terzo grande rivale di Corso era un altro compagno nell’Inter, Suarez, come nel caso di Rivera con antipatia personale che si mescolava a questioni tattiche. Tutte cose che questi grandi personaggi si sono portati dietro nel dopocalcio, anche quando (raramente e male) hanno lavorato insieme.

L’aria apparentemente dimessa del Corso anziano, quello che per motivi anagrafici la maggior parte delle persone ha conosciuto, non deve ingannare: da giocatore oltre al talento racchiuso nel suo magico sinistro aveva anche una personalità debordante che lo fece entrare in rotta di collisione con Herrera, ma anche con i commissari tecnici del momento. Nel 1962, durante un’amichevole fra Inter e Cecoslovacchia (la squadra di Masopust che poco dopo avrebbe giocato la finale mondiale con il Brasile), uscendo dal campo fece il gesto dell’ombrello ai due selezionatori azzurri Mazza e Ferrari ma anche ai giocatori azzurri in tribuna a San Siro (di lì a poco sarebbero partiti dalla Malpensa per il Mondiale in Cile) con Moratti che finse di arrabbiarsi con il suo pupillo dandogli mezzo milione di lire di multa, mentre quattro anni dopo, convocato da Valcareggi per la ricostruzione post-Corea, quasi venne alle mani con lui.

Innumerevoli poi le polemiche con arbitri (a quello di Borussia Moenchengladbach-Inter, Coppa dei Campioni, la famosa partita della lattina, diede un calcio venendo squalificato e perdendo anche la finale con l’Ajax), giornalisti, marcatori che in quell’era ben lontana dal VAR ai giocatori come Corso, Rivera, Mazzola, eccetera, riservavano scarpate con tacchetti preparati ad hoc. Tante le polemiche, ma sempre meno delle giocate geniali che sono sopravvissute ai televisori in bianco e nero.

Di solito uno così non diventa allenatore, ma Corso stupì anche in questo senso, visto che nella sua nemmeno brevissima (15 anni) carriera da tecnico, fra settore giovanile e prime squadre, ha lasciato buoni ricordi in Napoli, Lecce, Barletta, Mantova e nella stessa Inter, in quei pochi mesi da sostituto di Castagner prima dell’arrivo di Trapattoni. Il dualismo impossibile da accettare non era quello con Rivera e Mazzola, ma con il Corso giocatore. Per questo all’inizio degli anni Novanta disse basta, facendo l’osservatore dell’Inter e godendosi i ricordi, anche quelli dolci e amari di cioò che sarebbe potuto essere e non è stato. Anche se Corso è stato tanto: il vero rivale di Mario Corso.

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