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Il Napoli di Vinicio

Il Napoli di Vinicio

Quarant'anni fa una delle icone della storia partenopea dava le dimissioni da allenatore a tre giornate dalla fine del campionato. Ma l'amore iniziato nel 1955 dura ancora oggi...

Redazione

07.04.2020 19:01

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Dici Luis Vinicio e pensi subito al Napoli di Vinicio, da grande attaccante prima e da allenatore di grande moda poi. Fino al 7 aprile del 1980, 40 anni fa, quando ‘O Lione consegnò le sue dimissioni a Ferlaino, chiudendo il suo secondo ciclo da allenatore della squadra della sua vita. Lo fece a tre giornate dalle fine di un campionato anonimo, fra le contestazioni di un pubblico senza memoria e l’indifferenza di una squadra che non era certo quella che 5 anni prima aveva sfiorato lo scudetto. Fu sostituito per quell’ultimo mese da Angelo Sormani, con l'ombra di Mario Corso che all’epoca guidava la Primavera partenopea. Ma Ferlaino aveva già in testa l’allenatore del futuro, un Rino Marchesi che ad Avellino stava facendo bene e a Napoli avrebbe fatto molto bene.

Ma torniamo a Vinicio e alla chiusura di una storia iniziata 25 anni prima con il suo arrivo dal Botafogo. Ritornato nell’ottobre 1978 a Napoli dopo essere stato esonerato dalla Lazio la primavera precedente, Vinicio aveva sostituito Gianni Di Marzio e comunque aveva ancora l’aura dell’allenatore da progetto, che del resto si era guadagnato proprio al Napoli fra il 1973 e il 1976. Il problema era però la modestia del Napoli che ritrovò, con un Beppe Savoldi in netto declino e pochi elementi davvero affidabili: il capitano Bruscolotti, l’allora giovane Ferrario, i neoacquisti Castellini (dal Torino era arrivato anche Caporale) e Filippi, che però nel Vicenza di G.B. Fabbri e Paolo Rossi aveva dato quasi tutto. Vinicio però fece giocare quella squadra quasi come il Napoli di pochi anni prima, strappando un sesto posto e la qualificazione alla successiva Coppa Uefa.

Per il 1979-80 riuscì a strappare un bell’ingaggio, rapportato ai tempi, 90 milioni di lire, ma per quanto riguarda il calciomercato quasi soltanto promesse. Dal Perugia tornò uno Speggiorin rilanciato da Castagner, altri ritorni furono quelli di Damiani e Improta, poi dal Bologna arrivò un Bellugi che aveva già dato e che aveva la cattiva fama, anche perché lo dichiarò, di non avere bisogno di soldi e di giocare per hobby. Non era un Napoli migliore di quello della stagione precedente, ma fece senz’altro molto peggio e Vinicio venne messo nel mirino sia da Ferlaino, che con lo vedeva più nemmeno come parafulmini per la tifoseria, sia da Antonio Juliano che proprio nel 1978 si era ritirato e stava per iniziare una breve ma molto brillante carriera da dirigente. La iniziò proprio il giorno dopo le dimissioni di Vinicio, venendo nominato amministratore delegato, e l’avrebbe terminata proprio agli albori dell’era Maradona.

Ma tornando a Vinicio, che dopo l’addio al Napoli si scambiò con Marchesi la panchina dell’Avellino, va detto che non avrebbe più in sostanza fatto granché come allenatore, pur allenando in Serie A (fra Avellino, Pisa e Udinese) per altre otto stagioni. Di grande sarebbe rimasto l’amore per Napoli, dove è rimasto a vivere, ed il ricordo della stupenda squadra 1974-75, che dimostrò per la prima volta (ad alto livello) in Italia che anche con il gioco a zona si potevano fare grandi cose. Lo fece grazie al più improbabile dei leader di una difesa a zona, un Tarcisio Burgnich giudicato finito dall'Inter: per almeno mezzo campionato il Napoli fece vedere un calcio avanti di dieci anni, con la difesa in linea, per poi tornare a 'coprirsi', come si diceva all'epoca. Il Vinicio 1978-80 sarebbe stato ancora più prudente, non sarebbe in altre parole stato il vero Vinicio. È per questo che le dimissioni furono ancora più amare del dovuto. 

 

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