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Libertà di Ezio Vendrame

Libertà di Ezio Vendrame

Addio a un giocatore delle serie A anni Settanta, soprattutto nel Vicenza, conosciuto nella sua epoca ma diventato di culto nei decenni successivi...

Stefano Olivari

04.04.2020 ( Aggiornata il 04.04.2020 21:35 )

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Ezio Vendrame non è stato il George Best italiano, perché con il genio nordirlandese condivideva soltanto il taglio di capelli e molto vagamente il ruolo: entrambi potevano stare sulla fascia, ma Best era un attaccante mentre Vendrame era un centrocampista, o come si diceva una volta una mezzala. Vendrame è stato soprattutto un bravo scrittore, raro esempio di calciatore che non ha bisogno di aiuti più o meno dichiarati per scrivere libri (il migliore ‘Se mi mandi in tribuna godo’) e spiegare la propria visione del mondo. Con uno stile abrasivo, ai confini della sgradevolezza, facendo un po' il verso a Bukowski, non ha svelato grandi retroscena del calcio ma ha raccontato con durezza sé stesso. 

La Serie A Vendrame l’ha frequentata per tre anni (dal 1971 al 1974) con il Vicenza di Giussy Farina e per poche partite con il Napoli allenato da Vinicio, ma non è certo il valore calcistico ad avere fatto del giocatore friulano un personaggio da storytelling, con quegli aneddoti sempre uguali e quel maledettismo che sembra obbligatorio per infiocchettare una storia. Poi Vendrame una storia difficile ce l’aveva sul serio, a partire dall’infanzia in orfanotrofio, ma era il primo a sapere che soltanto diventando un personaggio avrebbe potuto lasciare un segno nella storia del calcio come altri estrosi, su tutti il suo preferito Zigoni, fra l'altro soggetto di un suo libro, più forti di lui.

Va detto che ai tempi in cui Vendrame giocava il clima mediatico era un po’ diverso rispetto a quello attuale ed il suo atteggiamento anticonformistico non piaceva alla pancia del giornalismo (‘Capellone’, ‘Hippie’, eccetera) né a quella del paese. Classe 1947, Vendrame perse una grossa occasione nella Spal di fine anni Sessanta, club che lanciava tanti talenti nel grande calcio, ma dopo essere stato cacciato da Paolo Mazza e dopo varie peregrinazioni trovò una sua dimensione nel Vicenza (Lanerossi Vicenza, per scaldarci il cuore) di Farina, allenato dalla gloria vicentina Umberto Menti, fratello maggiore di quel Romeo morto a Superga che dà il nome allo stadio.

L’anno successivo, con allenatore Gianni Seghedoni, fu il suo migliore in Serie A in una squadra dignitosa dove giocavano anche Faloppa, Montefusco e Speggiorin. Non per merito di Seghedoni, che fu presto esonerato, ma di Ettore Puricelli, proprio ‘Testina d’oro’, che gli lasciò una libertà mai avuta prima. E per qualche mese di quel campionato 1972-73 Vendrame fu davvero un giocatore che attirò l’interesse di grandi club (incantò in una partita contro l’Inter a San Siro), per la gioia di un Farina che lo aveva pagato niente, grazie ad una intuizione del direttore sportivo Ballico (allenatore di Vendrame al Rovereto), e che gli dava un ingaggio da fame: 150.000 lire al mese e 50.000 lire per ogni partita giocata. Come potere d’acquisto stiamo parlando di circa 1.600 euro di oggi, per un calciatore di medio-bassa Serie A: poi ci si chiede perché la gente una volta si identificasse di più nei calciatori…

Nell’ultima stagione al Vicenza i talenti in squadra non mancavano, da Damiani a Sormani, e Puricelli capì prima di Vendrame stesso che il personaggio aveva superato il giocatore. Poche presenze, valore di mercato azzerato al punto che quando nel novembre del 1974 il Napoll lo cercò, su suggerimento del suo allenatore Vinicio, Farina glielo diede gratuitamente pur di non tenersi un problema in squadra. A Napoli, in una squadra di scudetto e che fino all’ultimo avrebbe lottato con la Juventus di Parola, Vendrame non ebbe spazio per la semplice ragione che i vari Juliano, Orlandini, Esposito e Rampanti erano più forti di lui. Scese in serie C nel Padova, facendo belle cose, poi chiuse in maniera quasi dilettantisca a casa sua, a Casarsa della Delizia. Nella sua terra è poi rimasto, vivendo in senso materiale di poco e con poco. Vivendo libero, però, e questo vale più del Pallone d’Oro di George Best. 

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