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La verità su Van Basten e Sacchi© LAPRESSE

La verità su Van Basten e Sacchi

Nella sua autobiografia l'ex fuoriclasse di Ajax e Milan riserva parole dure all'allenatore dei trionfi in rossonero. Parole che peraltro aveva pronunciato anche a suo tempo...

Stefano Olivari

27 febbraio 2020

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È in uscita anche in Italia l’autobiografia di Marco Van Basten, intitolata ‘Fragile’ ed edita da Mondadori. Nel libro, che in Olanda è uscito lo scorso dicembre con il titolo di ‘BASTA’, Van Basten con l’ausilio di Edwin Schoon ripercorre tutta la sua carriera e siccome il tre volte Pallone d’Oro è sempre stato restio ad aprirsi è probabile che il bilancio sia definitivo. In altre parole, è molto difficile che il cinquantacinquenne di Utrecht torni ad allenare o anche soltanto che rimanga nel calcio con ruoli operativi, visto che non è durato nemmeno come consigliere, uno fra i tanti, di Infantino alla FIFA. Il libro dell’ex fuoriclasse di Ajax e Milan non è che abbia entusiasmato i lettori olandesi, ma in chiave italiana farà di sicuro parlare di sé per i giudizi su Arrigo Sacchi, suo allenatore dal 1987 al 1991, quindi per quasi tutta la sua esperienza rossonera, visto che l’ultima partita giocata da Van Basten è la finale di Champions League 1992-93, contro l’Olympique Marsiglia, in condizioni fisiche già pessime. Aveva 28 anni.

Tornando al rapporto con Sacchi, Van Basten nel libro dice cose che ha sempre detto su Sacchi come persona, cose che peraltro a suo tempo aveva detto anche a Berlusconi e che nessun compagno di squadra, nemmeno i più carismatici, osava e osa riportare. Per il solito motivo, alcuni allenatori vengono battezzati dai media come maestri di calcio e altri come mestieranti (Sarri e Allegri, per fare un esempio attuale), si parla ancora oggi del Milan di Sacchi, al limite del Milan di Berlusconi e Sacchi, ma non del Milan di Van Basten, Gullit, Rijkaard, Maldini, Donadoni, Franco Baresi e Ancelotti, limitandoci soltanto ai fuoriclasse.

L’ultima stagione di Van Basten e Sacchi insieme, quella 1990-91, meriterebbe un libro a parte ed è strano che sia stata dimenticata da molti. Non da Van Basten, comunque, che dopo uno scudetto, due Coppe dei Campioni e tante altre cose disse a Berlusconi che la squadra, ed in particolare lui, era stanca non tanto degli schemi di Sacchi (che in fondo si riducevano al 4-4-2) o dei suoi allenamenti, ma del suo atteggiamento e del suo protagonismo. Che cosa non funzionò? E soprattutto, di chi fu la colpa della rottura? 

Facciamo qualche passo indietro, giusto di 30 anni. Nell’estate del 1990 un Van Basten uscito deluso dal Mondiale italiano, fuori negli ottavi di finale contro la Germania degli interisti, inizia a dare segni di insofferenza anche nel Milan. In realtà dopo essere diventato padre di Rebecca inizia la stagione alla grande e a dirla tutta trova anche un Sacchi meno integralista, cosciente che non può più spingere il motore al massimo dei giri, dopo tre anni che Brera aveva definito di 'eretismo podistico'.

L’olandese è comunque nervoso, ma non è colpa di Sacchi se nell’ottavo di Coppa Campioni contro il Bruges si fa espellere per una gomitata a Plovie, beccandosi quattro giornate di squalifica (saranno ridotte a tre dopo il ricorso). Nell’Intercontinentale, contro l’Olimpia Asuncion, si vede però il miglior Van Basten: non segna nessuno dei tre gol rossoneri, ma illumina Tokyo con il suo talento assurdo. A questo punto però la luce si spegne, fra malattie più o meno immaginarie (salta il ritiro natalizio in Versilia per una raffreddore a cui Sacchi crede poco), prestazioni modeste e allenamenti con una intensità non sacchiana. Il 20 gennaio 1991, giorno di Parma-Milan, i rossoneri sono ancora terzi in classifica, a un solo punto dalla coppia di testa, la Juventus di Maifredi e l’Inter di Trapattoni. Al Tardini però in molti sono inesistenti, non solo Van Basten, per la prima volta in quattro stagioni sembra che il Milan non sia una squadra di Sacchi. Affondati da una doppietta di Melli, i giocatori rossoneri cominciano a pensare che un ciclo sia finito. E Van Basten polemicamente dice che se Sacchi lo ritiene opportuno lui andrà in panchina a fare la riserva di Agostini.

Dopo tante schermaglie, la rottura vera si consuma il 23 gennaio, prima di Milan-Pisa, anzi qualche giorno prima quando Van Basten chiede a Sacchi di non giocare perché non si sente in grande condizione. Galliani tenta di mediare, convocando in sede (allora in via Turati, a Milano) sia Van Basten sia Sacchi, ma tenendoli in due stanze differenti, correndo a riferire all'uno le parole dell'altro. Ma Van Basten è rigido e soprattutto dice di essere portavoce del malessere del resto della squadra, per lo meno di quelli che contano, sempre più insofferenti nei confronti del sacchismo e convinti di poter vincere tanto (come poi in effetti avverrà) anche con un allenatore differente. Vero o falso che sia questo ammutinamento contro Sacchi, Van Basten è l'unico ad esporsi anche se nello spogliatoio non è amatissimo e comunica davvero soltanto con gli altri olandesi. 

A questo punto è ovvio che intervenga Berlusconi in prima persona, un Berlusconi che però peggiora la situazione perché spiega apertamente alla stampa che il caso è risolto e che Van Basten ha ottenuto di giocare da seconda punta e di sostenere allenamenti meno stressanti. Una chiara delegittimazione di Sacchi, che capisce di essere a fine ciclo. Comunque quel Milan può permettersi di aspettare Van Basten e il suo ritorno al gol, il 3 febbraio contro il Cesena, dopo il vantaggio di Massaro, suggella il ritorno della squadra in testa alla Serie A insieme a Inter e Sampdoria, con un punto di vantaggio sulla Juventus e 3 sul Parma (c’erano 2 punti a vittoria, va ricordato). Significativo è che Sacchi rifiuti di prolungare il suo contratto con il Milan dal 1992 al 1994, visto che Berlusconi è convinto di avere risolto tutto e gli ha fatto la proposta pensando (con ragione) di interpretare il sentimento di tanti tifosi anche se non il suo personale.

Con un Van Basten semiritrovato e un Sacchi separato in casa il Milan rimane in corsa per lo scudetto fino al 10 marzo, quando perde a Genova contro la Sampdoria di Boskov, Vialli e Mancini. Quanto alla Coppa dei Campioni, nella famosa partita delle luci di Marsiglia Van Basten non c’è ma fa presente a chi di dovere che ci vuole una svolta in panchina. Per motivi diversi da quelli elencati da Van Basten la svolta ci sarà: in aprile, senza che Berlusconi smentisca, anzi, tutti parlano apertamente di Capello sulla panchina del Milan dopo 4 anni da manager della parte sportiva della Fininvest. Intanto in uno dei suoi ultimi incontri con Berlusconi, prima dell’esonero, Sacchi chiede la cessione di Van Basten ma anche di Gullit: non è una provocazione, anche se lo sembra, è che ritiene quello il momento giusto per rifondare la squadra. Berlusconi da imprenditore televiso quale all'epoca è non pensa nemmeno per un istante di cambiare il volto della trasmissione, ad andarsene sarà regista. Per Sacchi è il capolinea, Van Basten ha vinto anche se non tutta la squadra gradisce Capello, all’epoca ritenuto allenatore dal curriculum scarso, ridotto alle giovanili e a poche partite nel 1987 in sostituzione di Liedholm. Ma Berlusconi sa come imporsi, figuriamoci quindi in un club di sua proprietà.

Conclusione? Il famoso 'O io o lui' sembra non sia stato pronunciato nel 1991 ma due anni prima, dopo il 4-0 alla Steaua, quando Van Basten sognava di raggiungere Cruijff al Barcellona, prima che Berlusconi lo convincesse a rimanere. Nell'autobiografia Van Basten non mostra in ogni caso grande stima nei confronti di Sacchi, confermando che quella vicenda fu qualcosa di personale poi degenerato non a causa delle sconfitte, come avviene di solito, ma proprio del contrario. E i tanti, forse troppi, libri usciti sul 'Milan di Sacchi' sono stati vissuti male non soltanto da lui. Che come altri (quindi pochi, nella storia) giocatori del suo livello ritiene di essere in credito con il calcio. Con la fortuna di sicuro. 

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