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Il futuro apparecchiato da Piqué© AFPS

Il futuro apparecchiato da Piqué

Il campione del Barcellona starebbe meditando di lasciare il calcio giocato nel 2020, per candidarsi alla presidenza del club e dedicarsi di più alla nuova Coppa Davis da lui organizzata. Solo che nel calcio di oggi nessuno si ritira a 33 anni...

Redazione

28.12.2018 ( Aggiornata il 28.12.2018 23:21 )

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Chissà se davvero Gerard Piqué si ritirerà nel 2020, quando avrà soltanto 33 anni: nel calcio di oggi un’età non ancora da pensione, per mille motivi finanziari e medici (per non dire altro). Certo è che l’anticipazione del Mundo Deportivo sta creando a Barcellona un vero caso perché la logica conclusione sarebbe la candidatura di Piqué a presidente dei blaugrana alle elezioni del 2021, per succedere a Josep Bartomeu. Lui frontman di una squadra con Xavi, Puyol e Iniesta, che sulla carta potrebbe ottenere il 99% dei voti dei soci del club. Ma al di là delle tempistiche (se rimanendo in campo non si candiderà al giro del 2021 lo farà in quello successivo), Piqué è fra i campioni del calcio moderno quello che più di tutti guarda al di fuori del suo orticello, senza contare troppo sulla considerazione dovuta a una vecchia gloria che al conteggio attuale ha vinto 7 campionati, 4 Champions League, un Mondiale, un Europeo e tanto altro.

Merito della sua formazione culturale, ben diversa da quella del calciatore medio. Figlio di un ricco imprenditore e di una madre medico, proprio dal nonno materno è arrivato l’amore per il Barcellona: Amador Bernabeu, questo il suo nome (nessuna parentela con Santiago), in passato è stato vicepresidente dei blaugrana e anche dirigente della federazione spagnola. Poi il suo legame con Shakira (due figli con la cantante colombiana) lo ha anche proiettato in uno star system internazionale, al punto che ogni suo tweet viene vivisezionato dai media. In particolare quelli sull’indipendenza della Catalogna, tema da cui il Barcellona si è smarcato ma che rimane molto sentito dagli ormai pochi catalani in squadra. La posizione di Piqué è più moderata rispetto a quella, per esempio, di Guardiola: è per il diritto di autodeterminazione dei popoli ma non pregiudizialmente anti-spagnolo. E del resto uno con la sua carriera in nazionale non avrebbe potuto esserlo.

Certo è che il dopo-calcio di Piqué è iniziato da tempo, non con questo sogno presidenziale ma con il tennis. Fondatore e presidente della Kosmos Holding insieme al fondatore della Rakuten (sponsor del Barcellona, fra l’altro), il Piqué imprenditore ha esordito con il botto, di fatto cancellando la vecchia Coppa Davis. In pratica per 25 anni è riuscito a mettere le mani sul torneo tennistico a squadre più importante, sventolando davanti al naso della federazione un progetto (e non solo il progetto) per incassare 3 miliardi di dollari e diventando parte attiva nella riforma che porterà già dall’anno prossimo ad un vero e proprio Mondiale a squadre concentrato in una settimana. Piqué allo scopo si è guadagnato il supporto mediatico di Nadal e Djokovic, mentre più freddo (anche per suoi interessi in altri tornei) è stato Federer. Certo è che ormai Piqué va in campo soltanto perché è ancora forte e gioca in uno dei club più famosi del mondo, che incidentalmente è anche quello del cuore. 

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