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Inter-Napoli e i morti del nostro calcio© LAPRESSE

Inter-Napoli e i morti del nostro calcio

Daniele Belardinelli è il nuovo nome da aggiungere ad un elenco meno lungo di quanto si pensi, ma che fa capire come il problema della violenza legata al calcio parta da lontano. Non c'è quindi alcun passato felice da rimpiangere, ma un futuro da costruire...

Stefano Olivari

27.12.2018 ( Aggiornata il 27.12.2018 14:51 )

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Daniele Belardinelli è la nuova persona morta per motivi legati al calcio e come tale fa più notizia di milioni di innocenti spazzati via da tsunami o terremoti. Può non piacere, anzi non ci piace proprio, ma è così. L’ultras interista ha perso la vita durante gli scontri avvenuti ieri sera nei pressi di San Siro un’ora prima dell’inizio di Inter-Napoli, investito da un’auto in una situazione ancora da accertare, mentre scriviamo queste righe, e su cui quindi non spariamo sentenze definitive. Certo è che questo tipo di morte fa notizia anche perché oggi è rara, nel primo mondo (di cui l’Italia fa parte) addirittura rarissima nonostante le tensioni che stanno alla base del calcio e del suo successo.

Certo è anche che bisogna evitare la retorica di un passato felice, quello in cui secondo una certa narrazione allo stadio ci andavano le mitiche famiglie. No, la situazione negli stadi italiani e non solo italiani è molto meglio adesso rispetto agli anni Ottanta e Novanta, e bisogna ricordarlo anche in un momento come questo. Se parliamo di calcio di Serie A, i nomi dei morti ce li ricordiamo a memoria e questo è segno che non sono poi stati molti, in rapporto ai pericoli percepiti. Merito delle forze dell’ordine, di misure repressive ad hoc (tipo il Daspo), della fortuna, anche di un miglioramento qualitativo dei club.

Nel 1979 muore il tifoso della Lazio Vincenzo Paparelli, un’ora prima del derby romano, per un razzo sparato dalla curva della Roma. Nel 1984 il tifoso del Milan Mauro Fonghessi, ucciso a coltellate da altri tifosi rossoneri dopo un Milan-Cremonese: era stato scambiato per un tifoso della Cremonese. Nel 1988 il tifoso dell’Ascoli Nazareno Filippini, dopo un Ascoli-Inter rimasto ucciso durante scontri con ultras nerazzurri. Nel 1989 un’altra tragedia a San Siro: il tifoso della Roma Antonio De Falchi muore di infarto mentre ultras del Milan lo stanno inseguendo. Nel 1993 infarto anche per il tifoso dell’Atalanta Celestino Colombi, che muore durante una carica della polizia. Nel 1995 il tifoso del Genoa Vincenzo Spagnuolo muore accoltellato da ultras del Milan poco prima di Genoa-Milan. Nel 1999 muoiono quattro tifosi della Salernitana, non nei pressi dello stadio ma sul treno: qui i tifosi avversari (nell’occasione del Piacenza) non c’entrano, la colpa è di altri tifosi della Salernitana che appiccarono l’incendio ai vagoni. Nel 2007 a morire è l’ispettore di polizia Filippo Raciti, durante scontri causati dai tifosi del Catania prima di Catania-Palermo. Del 2014 è invece la morte di Ciro Esposito, il tifoso del Napoli, dopo quasi due mesi di agonia, per un colpo di pistola sparato da un tifoso della Roma prima della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina.

È evidente quindi che il problema parte da lontano, così come è evidente a chi frequenta gli stadi che l’aria sia più respirabile rispetto a qualche anno fa. Questo non significa girare la faccia dall’altra parte, ma mettere le cose in prospettiva.

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