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Mancini e il mercato dei commissari tecnici© LAPRESSE

Mancini e il mercato dei commissari tecnici

Il nuovo allenatore della Nazionale ha fortemente voluto questo incarico, al punto di avere rinunciato ai tanti soldi dello Zenit e anche a rimanere nel giro dei grandi club. Ma le rivincite da prendersi in Italia sono troppe...

Stefano Olivari

15.05.2018 11:57

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La motivazione è l’ultima cosa che manca a Roberto Mancini, come commissario tecnico azzurro. La stessa motivazione che forse come allenatore di club era venuta meno già da un po’. Diversamente non avrebbe rinunciato a cuor leggero a 12 milioni di euro netti per i due anni residui di contratto con lo Zenit e non avrebbe accettato dalla FIGC una cifra, 2 milioni a stagione fino al 2020 ma con rinnovo quasi automatico (legato alla qualificazione per la fase finale dell’Europeo) fino al 2022, che è esattamente la metà di quella percepita da Conte in ognuno dei suoi due anni in azzurro. Da non dimenticare che nel 2014 Conte aveva un mercato internazionale paragonabile a quello del Mancini di oggi e la FIGC non era tanto più stabile di qualle attualmente commissariata: si era appena dimesso Abete e Tavecchio pur essendo un politico navigato sembrava di passaggio.

La novità è rappresentata dal fatto che Mancini è il primo allenatore della Nazionale nella storia ad arrivare direttamente dall’estero ed uno dei due ad avere avuto esperienze all’estero prima di approdare in azzurro: il Trapattoni che nel 2000 prese il posto del dimissionario Zoff veniva sì dalla Fiorentina, ma prima aveva guidato, in due diversi periodi e senza brillare, il Bayern Monaco. Non consideriamo le brevi parentesi di Lajos Czeizler ed Helenio Herrera, visto che oltretutto nemmeno erano allenatori unici. Certo è che con Mancini si rimane saldamente dalla parte dell’allenatore da club, con il Cesare Maldini di ven’anni fa che rimane l’ultimo federale in senso stretto.

Un tipo di scelta non inedita, basti pensare a Fabbri o a Bernardini, ma diventata quasi una regola dopo l’ingaggio di Sacchi nel 1991. Dopo la parentesi Maldini ecco Zoff, Trapattoni, Lippi, Donadoni, Prandelli, Conte e Ventura. Allenatori di valore ben diverso, ma tutti (anche Ventura) di serie A. Da notare che nel 2018 tutte le grandi nazionali sono guidate da un tecnico con un significativo passato a livello di club, ma da notare anche che nessuno di chi attualmente guida le nazionali grandi o medie è nel mirino di un grande club: se Zidane lasciasse il Real ci sembra difficile anche soltanto immaginare la candidatura di Löw, Southgate, Tite, Martinez, Tite, Sampaoli, Fernando Santos o Tabarez. Il solo Deschamps, forse anche Ronald Koeman ma più per il suo passato da giocatore, potrebbe essere spendibile in una squadra con ambizioni da Champions. Certo è che il PSG per ripartire pensa a un allenatore esonerato (anche se non per motivi sportivi) dal Borussia Dortmund e fermo da un anno come Tuchel, non a un c.t…. Non parliamo poi delle nazionali di livello medio-basso o basso, anche senza andare in Africa: il festival del mestierante.

Con questo non vogliamo dire che la panchina della nazionale, del proprio paese o di altri, sia qualcosa di adatto ad allenatori bolliti come forse anche alcuni candidati all’azzurro (Ancelotti?) hanno pensato, ma soltanto che quasi tutti quelli che possono scegliere alla fine scelgono il grande club. Per Mancini è però diverso, vista la quantità e la qualità delle rivincite che si vuole prendere in Italia. Anche con se stesso, per le tante occasioni azzurre buttate da giocatore con tre diversi c.t.

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