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Ragazzi come Davide Astori© LaPresse

Ragazzi come Davide Astori

Nel calcio professionistico italiano i casi di morti per infarto durante il periodo di attività sono stati quattro nell'ultimo mezzo secolo. Giuliano Taccola, Renato Curi, Piermario Morosini e il difensore della Fiorentina...

Stefano Olivari

04.03.2018 17:44

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La morte di Davide Astori è sconvolgente come tutte quelle di uomini nel fiore degli anni, anche se per ovvie ragioni la morte di un operaio trentunenne fa meno notizia rispetto a quella di un ottimo calciatore di serie A come era Astori. Va poi detto che l’operaio magari è mediamente meno controllato, a livello medico e anche solo cardiologico, rispetto al calciatore di serie A e quindi lo sgomento per Astori e per le modalità con cui ha perso la vita non può che aumentare. La memoria, da italiani, va ad altri tre calciatori morti per infarto anche se nel mondo i casi sono stati molti di più ma non sempre paragonabili, perché molti si sono verificati in paesi in cui il medico non può bloccare l’atleta malato.

Il caso più recente è quello di Piermario Morosini, che il 14 aprile del 2012 durante Pescara-Livorno (serie B) dopo mezz’ora di gioco va a terra e si rialza tre volte, prima di crollare definitivamente. Arresto cardiocircolatorio. Il centrocampista del Livorno morirà un’ora dopo in ospedale, ma per avere un po’ di chiarezza ci vorranno quasi tre mesi e la pubblicazione dei risultati dell’autopsia. In pratica Morosini aveva una malattia cardiaca ereditaria, la cardiomiopatia aritmogena, sfuggita a tutte le tante visite di idoneità sostenute durante la carriera. Morosini, già con una storia familiare molto sfortunata, aveva 26 anni. Di poche settimane fa è la sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila, che ha confermato le condanne per omicidio colposo a un anno per il medico del 118 di Pescara e a otto mesi ciascuno per il medico sociale del Livorno e il medico del Pescara Calcio. Assurdo fare del bar anche sulla medicina, ma la sentenza dice che forse Morosini non si sarebbe potuto salvare ma senz’altro si sarebbe potuto assisterlo meglio.

Del 30 ottobre 1977 è invece la morte di Renato Curi, il centrocampista del Perugia che recuperando da un infortunio riesce ad essere in campo nella partita contro la Juventus. Una giornata di pioggia, una partita piena di scontri di gioco ma normalissima: in uno di questi contrasti Causio fa un fallo proprio su Curi, purtroppo non gli fa male (questa fu la considerazione fatta all’epoca da Causio, a sottolineare la casualità della vita) e Curi rimane in campo. All’inizio del secondo tempo Curi fa l’ennesimo scatto alla ricerca del pallone e subito si accascia. Infarto, aveva 24 anni, una moglie e una figlia. Non tutto però è casualità, perché lo stesso Curi non faceva mistero dei suoi problemi nel superare le visite di idoneità, al punto che scherzando paragonava il suo ‘cuore matto’ a quello di Bitossi. Di più: circa sei mesi prima in un Perugia-Milan era uscito dal campo in barella dopo uno scontro con Capello, per un misto di trauma, affaticamento e altro.

La morte di Giuliano Taccola è invece del 16 marzo 1969. La sua Roma, ai tempi allenata da Helenio Herrera, va a Cagliari ma lui è sicuro di non giocare. È reduce da un infortunio alla gamba, non si sente ancora pronto e in più ha anche un po’ di febbre. Herrera vorrebbe il suo attaccante in campo e il medico della Roma gli dà qualcosa per far abbassare la febbre, ma le condizioni rimangono precarie. Taccola così segue la partita da spettatore e alla fine scende negli spogliatoi insieme ai compagni. Beve un’aranciata e subito dopo si sente male, il massaggiatore lo aiuta a stendersi sul lettino. Arresto cardiaco, i medici delle due squadre che gli praticano la respirazione artificiale e il massaggio, poi la morte in ospedale. Nel suo caso nemmeno l’autopsia ha fatto chiarezza sulle cause reali della morte, ammesso che fosse possibile farla. Taccola aveva 26 anni, moglie e due figli.

Tre ragazzi uniti ad Astori nella tragedia: due di loro, Morosini e Curi, morti sul campo in senso stretto e uno, Taccola, che non aveva giocato ma era comunque debilitato. In mezzo secolo di calcio professionistico quattro ragazzi sono tanti? Sono pochi? Sono confrontabili ai casi per così dire cardiaci di altri sport, tipo quello di Vigor Bovolenta? Certo è una triste contabilità che non deve esaurirsi con l’età dell’agonismo ma anche con l’analisi della vita successiva.  

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