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La normalità europea di Allegri© REUTERS

La normalità europea di Allegri

Con la vittoria di Atene l'allenatore della Juventus si è qualificato agli ottavi di Champions League, per l'ottava volta su otto partecipazioni. Un'ottima carriera internazionale a cui manca soltanto il grande acuto...

Stefano Olivari

06.12.2017 11:16

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Con la vittoria di Atene sono diventati otto i passaggi alla fase a eliminazione diretta su otto partecipazioni alla Champions League. La statistica di Massimiliano Allegri, quattro qualificazioni con il Milan e quattro con la Juventus, è tutt’altro che banale perché negli ultimi otto anni, quelli di Allegri, la qualificazione agli ottavi è stata mancata da corazzate come Manchester City (2011-12 e 2012-13), Manchester United (2011-12 e 2015-16), Chelsea (2012-13), Juventus (2013-14, con in panchina Conte) e Liverpool (2014-15), senza  contare il Napoli 2013-14 e la Roma 2014-15 e le tante squadre di medio livello uscite prematuramente, di livello certamente superiore al Milan degli ultimi due anni di Allegri, quello senza Ibrahimovic e Thiago Silva.

Quale è il segreto di Allegri, inspiegabilmente meno celebrato non soltanto del Sarri della situazione ma anche di altri allenatori juventini che in Europa, quando erano sulla panchina bianconera, hanno fatto pena, da Capello a Conte? Dal punto di vista tattico il suo non essere integralista gli consente di adattarsi a qualsiasi situazione sportiva e umana: nel Milan versione Ibra giocava con il 4-3-3, ma a volte anche con il cosiddetto albero di Natale o un 4-3-1-2, con qualche momento di 4-4-2 e quasi mai la difesa a tre (come nello sfortunato ottavo di finale con il Tottenham di Redknapp). Nel Milan senza Ibra i cambi di modulo sono stati più frequenti, ma sempre con la difesa a quattro. Interessante il suo approccio alla Juventus post-Conte: qualche partita di 3-5-2 nel girone, con poca convinzione (di Allegri) ed esiti non buoni, per poi tornare alle sue idee e al 4-3-1-2 con cui sarebbe arrivato diritto alla finale di Berlino contro il Barcellona, andando anche vicino a vincerla, con un centrocampo fra i più forti della storia bianconera: Pogba-Pirlo-Vidal-Marchisio.

Nel secondo anno bianconero la difesa a tre si è tornata a vedere, ma lo sfortunato ottavo con il Bayern Allegri se lo è giocato con il suo modulo, mentre la scorsa stagione, anche su sollecitazione della vecchia guardia, la difesa tre si è vista molto di più e a Cardiff si è arrivati con il 3-4-2-1: straperdendo con il Real Madrid, ma con il non trascurabile dettaglio che si trattava della finale di Champions League. Poi gli antipatizzanti possono dire che è un allenatore che fa cose normali e non ha mai l'acuto, finché non alzerà la Champions League sarà così. Insomma, Allegri è uno che sa adattarsi sia tatticamente che umanamente: spesso poi si tratta della stessa cosa, visto che tante scelte dipendono solo dal voler proteggere o meno certi giocatori. Certo è che Allegri alle fasi decisive del torneo tecnicamente più importante del mondo ci arriva sempre, senza assumere pose da maestro di calcio o da guru misterioso e onnisciente. Forse è proprio questa sua ironica normalità, unita alla relativamente serena accettazione delle sconfitte, delle risse da spogliatoio, dell’incompetenza dirigenziale ma anche dei suoi stessi (e ne ha fatti) errori, a mandare fuori di testa chi pensa che il calcio sia una scienza esatta.

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