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Beppe Bonetto e il secondo grande Torino

Beppe Bonetto e il secondo grande Torino

Nella sua prima vita calcistica il procuratore appena scomparso è stato per quasi due decenni l'anima dirigenziale del club granata, costruendo pezzo dopo pezzo la squadra dello scudetto 1975-76

Stefano Olivari

28.11.2017 17:56

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Con la scomparsa di Beppe Bonetto, a 83 anni, se ne va un grande procuratore, per qualità dei giocatori seguiti (Maldini, Zambrotta, Peruzzi, Gilardino, Jorgensen) ma anche perché all’inizio degli anni Ottanta è stato uno dei primi in Italia a far uscire questa professione dall’anonimato e da situazioni poco raccomandabili. In questa veste l’abbiamo conosciuto di persona, in tante sessioni di calciomercato, ed il cognome attraverso figlio e nipote dice molto anche ai più giovani. Ci piace però ricordarlo soprattutto come l’architetto di un’epoca stupenda del Torino, sotto la quasi ventennale presidenza di Orfeo Pianelli. Bonetto era per il club granata il segretario generale, in seguito general manager: carica oggi semi-scomparsa, ma che ai tempi racchiudeva le competenze degli odierni direttore generale, direttore sportivo e direttore commerciale, per tacere delle mille figure semi-inutili che sono proliferate nel tempo.

Quintessenza della torinesità, qualsiasi cosa voglia dire, aveva un passato infantile da juventino ma era diventato tifoso del Torino ben prima di lavorarci, anche su ispirazione della moglie Orietta. Negli anni Settanta fare concorrenza alla Juventus sul campo e sul mercato era in proporzione ancora più difficile di oggi, visto il peso del mondo Agnelli-FIAT sulla politica italiana. Non era soltanto una questione di soldi, che a Pianelli non mancavano, ma di una sorta di deferenza (del resto l’azienda di Pianelli aveva la FIAT fra i suoi principali clienti) che impediva molti movimenti e di sicuro gli attacchi frontali. Certo è che Pianelli e Bonetto ebbero il coraggio di dire no alla Juventus e a tante altre squadre che chiedevano Gigi Meroni, costruendo gradualmente una squadra memorabile: Pulici arrivò nel 1967 dal Legnano, Claudio Sala nel 1969 dal Napoli (per una cifra all’epoca notevole, 500 milioni di lire), Castellini nel 1970 dal Monza, Mozzini nel 1971 dalla Primavera granata, Graziani nel 1973 dall’Arezzo e nella stessa estate Salvadori dall’Alessandria, Zaccarelli nel 1974 dal Verona (ma era già del Toro) nella stessa estate di Nello Santin dalla Sampdoria, Caporale e Pecci nel 1975 dal Bologna, Patrizio Sala sempre nel 1975 dal Monza. Come si vede, l’undici titolare dello scudetto 1975-76 non arrivò da un mercato pirotecnico o da colpi di fortuna, ma da una programmazione attentissima.

Quel materiale umano veniva dato ad allenatori come Rocco, Fabbri, Cadé e soprattutto Gigi Radice, che nel 1975 Bonetto inseguì come non aveva mai inseguito nessuno, chiedendolo al Cagliari come se si trattasse di un giocatore. Il presidente sardo Arrica rilanciò, proponendo a Radice di rimanere in una squadra ricostruita dopo la cessione di Gigi Riva alla Juventus in cambio di Anastasi, Viola e Longobucco (operazione che mai si sarebbe fatta). Va ricordato che in quel momento Bonetto aveva di fatto in mano tutto il Torino, visto che Pianelli si era dimesso e aveva dichiarato di voler vendere le sue azioni: avrebbe in seguito cambiato idea. Circolarono molti nomi, Bonetto contattò anche Enzo Bearzot che lavorava per la FIGC ma non aveva ancora affiancato Bernardini nella nazionale maggiore. Alla fine, per un ingaggio di 80 milioni di lire annui, Radice andò a scrivere la storia del Torino vincendo uno scudetto e sfiorandone un altro. Bonetto avrebbe lasciato i granata nel 1982, poco prima di Pianelli, per una breve esperienza nel Napoli prima di iniziare la sua seconda vita calcistica. Nella storia di questo sport rimarrà un dirigente dal grande stile ed il costruttore di un Torino secondo soltanto a quello scomparso a Superga. 

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