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L'ultimo Mondiale di Ibrahimovic© REUTERS

L'ultimo Mondiale di Ibrahimovic

Il fuoriclasse svedese è appena rientrato con il Manchester United, dopo sette mesi di assenza per infortunio, ed il c.t. Andersson inizia ad avvertire una certa pressione mediatica...

Stefano Olivari

20.11.2017 10:27

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Fra gli spettatori più interessati del disastro azzurro nello spareggio mondiale contro la Svezia c’era di sicuro Zlatan Ibrahimovic, pochi giorni prima del suo rientro in campo con il Manchester United, sabato scorso contro il Newcastle. Perché Janne Andersen ha un bel dire che la sua nazionale per Russia 2018 è già fatta, ma rimane il fatto che il livello medio dei suoi attaccanti è scadente e in ogni caso di molto inferiore a quello degli altri reparti: il meno peggio, Marcus Berg, gioca negli Emirati Arabi, e gli altri tre (Toivonen, Guidetti e Thelin) troverebbero a fatica un posto anche nella fascia bassa della nostra serie A. Insomma, i media svedesi non hanno giustamente perso tempo facendosi la fatidica domanda: Ibra andrà ai Mondiali?

Partiamo dalla fine, cioè dall’infortunio subìto contro l’Anderlecht in Europa League che lo ha tenuto lontano dal campo per sette mesi. Lo stesso Ibra, togliendosi per qualche minuto la sua maschera, ha spiegato che il problema ai legamenti del ginocchio è stato più grave di quanto lui pensasse, non dal punto di vista medico ma da quello psicologico: forse, ma  lui non ha detto, il trentaseienne capocannoniere nella storia della nazionale svedese (62 gol) ha per la prima volta pensato al dopo-calcio. Questo non gli ha impedito di rientrare con quasi due mesi di anticipo rispetto al previsto, per sé stesso ma anche per dare una mano a un Manchester United 8 punti in classifica dietro al City e alle prese con altre situazioni mediche complicate (su tutte Pogba). Un club al quale dopo poco più di un anno (e 28 gol) Ibra sembra più legato che ad altre realtà in cui è stato grande, non fosse altro che perché il rinnovo del contratto l’ha firmato in agosto, da infortunato.

Venendo alla nazionale, l’Ibra tifoso di Solna (a fianco di Mourinho: chissà cosa avranno detto della grande prova di Lindelof, di solito scadente nello United…) e l’Ibra twittante (“We are Sweden”) pochi minuti dopo l’impresa di San Siro sta lanciando evidenti messaggi al c.t., anche se non si abbasserà mai a chiedere un posto in squadra. È ovvio che il lavoro sporco lo faranno i media svedesi, gli appassionati di tutto il mondo e magari la stessa FIFA, affamata di personaggi in un Mondiale che ha perso grandi mercati televisivi come Cina, Stati Uniti e, diciamolo, Italia. Nel dopo Italia-Svezia la prima uscita sul tema da parte di Andersson non è stata felicissima: “Incredibile, stiamo ancora parlando di un giocatore che lasciato la Svezia un anno e mezzo fa… Comunque adesso la squadra gioca diversamente rispetto a quando c’era lui”. L’emozione del momento gli ha di sicuro fatto dimenticare che stiamo parlando del leader di 2 Mondiali, 4 Europei, del secondo sportivo svedese di tutti i tempi dietro Bjorn Borg, ma soprattutto di uno che per la nazionale ha sempre dato l’anima lanciando un messaggio importantissimo: nel calcio di club vado dove mi pagano meglio e ho le opportunità migliori, sono fra l'altro l’unico a dirlo apertamente, ma la nazionale è un’altra cosa. La storia personale di Andersson (carriera inesistente come calciatore e modesta come allenatore fino al titolo nazionale con il Norrköping due anni fa) porta a pensare che non sappia e non voglia gestire giocatori come Ibra, ma da qui a giugno tante cose possono succedere. 

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