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Pelé il grande segreto del 4-2-4

Pelé il grande segreto del 4-2-4

Redazione

06.09.2017 ( Aggiornata il 06.09.2017 13:30 )

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Da modulo simbolo del coraggio di Giampiero Ventura a spiegazione del disastro azzurro di Madrid, chissà se il 4-2-4 da noi avrà un futuro. Anche perché poi si può senza problemi definire 4-4-2 e soltanto le caratteristiche molto offensive di Candreva e Insigne lo rendono formalmente qualcosa di strano: non si può certo dire che in fase difensiva l'Italia di Ventura stia soltanto con sei uomini sotto la linea del pallone, quindi alla fine siamo sempre condizionati dai nomi. Si tratta insomma di un marchio che si potrebbe attaccare a tante squadre che hanno fatto la storia del calcio, praticamente a tutte quelle con due registi, o giù di lì, davanti a una difesa a 4. Con questa premessa del marchio mediatico si può dire che come modulo di base, non come arma della disperazione a partita in corso, se parliamo di calcio di prima fascia il 4-2-4 è esistito quasi soltanto nel Brasile degli anni Cinquanta, con un ultimo urrah al Mondiale del 1970 e molti che lo hanno 'citato' in tempi recenti (Conte alla Juventus, per dirne uno). Teorizzato ma non applicato da Flavio Costa, l'allenatore del Maracanazo, il 4-2-4 diventò di moda nel San Paolo guidato da Bela Guttmann e ripreso dalla nazionale che nel 1958 conquistò la sua prima Coppa Rimet. L'idea di Guttmann, tipica del calcio ungherese di quell'epoca, era che una delle due prime punte fosse di supporto all'altra: il centravanti alla Hidegkuti, quindi, anche se la grande Ungheria giocava con altro modulo. Nel 1958 nella squadra di Feola davanti alla difesa c'erano due registi, ma anche buoni atleti, come Zito e Didì, mentre in attacco stavano larghi Garrincha e Zagallo, con Vavà e Pelé centrali. Considerando le caratteristiche di Zagallo, era molto più offensiva la squadra del 1970 allenata proprio da lui: Clodoaldo e Gerson davanti alla difesa, Jairzinho e Rivelino sulle ali, Pelé e Tostão in mezzo. A questo livello non vengono in mente tanti esperimenti analoghi (di sicuro il Celtic che batté l'Inter nella finale di Coppa Campioni 1966-67, visto che gli esterni Johnstone e Lennox, soprattutto il secondo, erano attaccanti puri) e del resto nemmeno il Brasile avrebbe più ripetuto un'esperienza profondamente legata ai suoi interpreti e a ritmi di gioco diversi. È anche per questo che l'esperimento di Ventura è affascinante, per quanto azzardato, al di là dell'evidenza che Immobile non sia Pelé o Hidegkuti.

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