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Arsenal di Wenger, fu vera gloria?

Arsenal di Wenger, fu vera gloria?

Redazione

08.03.2017 ( Aggiornata il 08.03.2017 14:00 )

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Non è la prima volta che la guida tecnica di Arsene Wenger viene messa in discussione, ma è senz'altro la prima in cui l'allenatore dell'Arsenal viene invitato in maniera plateale ad andarsene dandogli indirettamente del bollito e non solo per i 67 anni di età. La contestazione al termine del ritorno con il Bayern Monaco di Ancelotti, che ha chiuso l'ottavo di finale di Champions League con un 10-2 totale, ha probabilmente segnato il capolinea di una grande storia. Non si tratta soltanto della contestazione ad un allenatore che ha fatto il suo tempo, per lo meno in quell'ambiente, cosa che non sarebbe una notizia, ma anche la messa in discussione del modello di tifoso-cliente che in Premier League si dava ormai per accettato e metabolizzato. Un tifoso-cliente molto aziendalista, che accetta di perdere i giocatori migliori nel nome della costruzione del nuovo stadio e che ha fiducia nei suoi dirigenti e del suo allenatore, che del resto vengono ricoperti di elogi anche dall'esterno (in genere da chi vince). Un tifoso-cliente che paga biglietti e abbonamenti sempre più cari, dove all'effetto Premier League si somma l'effetto Londra. Invece, sorpresa, esistono tifosi che sognano ancora di vincere. O meglio: che sognano di competere, non di essere soltanto un grande marchio noto in tutto il mondo, dove però i grandi giocatori si sentono di passaggio. La parabola di Wenger all'Arsenal fa capire quanto sia cambiato il calcio nei due decenni post sentenza Bosman. Nel 1996, quando dopo l'addio di Bruce Rioch fu scelto per guidare l'Arsenal da David Dein, Wenger fu il primo nella storia di quella gloriosa panchina a non essere britannico o irlandese. Mentre oggi desterebbe stupore anche la sola ipotesi di un top club inglese guidato da un inglese... I campioni (Bergkamp, Vieira, Overmars, Anelka, Petit, Campbell, Henry, Van Persie, Ljungberg, Lehmann, Ashley Cole, Kolo Touré, Pires, solo per citare quelli dell'epoca d'oro) e le vittorie (tre campionati vinti e sei FA Cup) della sua era sono ricordati meno della Champions League solo sfiorata e a volte non onorata, delle otto stagioni consecutive senza un trofeo alzato, delle tante cessioni dolorose per un certo periodo giustificate dal finanziamento del nuovo stadio ma poi anche dal fatto che molti campioni abbiano ritenuto più probabile che si vincesse da altre parti invece che con Wenger. Che ha preso una squadra molto inglese, quella dell'amato quartetto difensivo Dixon-Adams-Keown-Winterburn e l'ha trasformata in una multinazionale, con abuso di francesi non tutti del valore di Henry e Pires, una multinazionale come le altre ma senza il potenziale di spesa illimitato di un Manchester City o di un Chelsea. Non è una colpa di Wenger, questa, ma alla fine l'unico volto riconoscibile dal tifoso medio è rimasto il suo ed è quindi a lui che viene presentato il conto. 'Le professeur' ha sempre avuto un'idea di calcio molto chiara, che parte del 4-4-2 ed arriva a sue varianti, su tutte il 4-2-3-1, ma quando ha avuto due attaccanti esterni forti ha mostrato anche il 4-3-3 e per certi giocatori, come il Fabregas dell'epoca migliore, ha anche creato moduli ad hoc. Non è comunque per le freccine disegnate alla lavagna che sarà ricordato, ma per la sua filosofia gestionale e la sua fiducia in giocatori giovani (da allenatore del Monaco lanciò Thuram) o sottovalutati, per un certo periodo imposta dalle finanze del club ma in altri gradita anche da lui, come a crearsi un alibi preventivo. Molti suoi antipatizzanti dicono che sintetizzi alla perfezione la Premier League di oggi, un posto dove bisogna esserci ma dove vincere non è l'unica cosa che conta, quindi una sorta di NBA del calcio, ma la semplice osservazione delle partite dice che le squadre di Wenger hanno sempre giocato un calcio che si fa guardare anche dai non tifosi e che quando ha avuto i giocatori per vincere spesso ha vinto, senza dimenticare che in Inghilterra ha incrociato gli anni d'oro del Manchester United di Ferguson (i sei secondi posti e i cinque terzi in Premier league si spiegano anche così). Da anni è ormai maturo per una grande nazionale, dopo avere più volte rifiutato l'Inghilterra. All'Arsenal però sembra finita.

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