Il versamento di altri 100 milioni di euro di caparra per Il Milan, da parte della ancora misteriosa (anche per i cinesi stessi) cordata cinese a composizione variabile che ha come uomo immagine Yonghong Li, non chiude la partita per l'acquisto del club rossonero, perché in attesa del closing del 3 marzo ogni congettura rimane valida, ma induce una volta di più a chiedersi come mai cinesi di questa cilindrata finanziaria abbiano scelto il Milan, in rosso fisso di bilancio in quasi tutti i 30 anni di gestione Berlusconi-Galliani (tutto è stato poi recuperato su altri tavoli, ma non è questo il punto), invece che puntare sulla Premier League dove oltretutto le proprietà straniere sono la norma.
Dei 20 club del campionato più seguito al mondo ben 14 sono di proprietà straniera o con azionisti di maggioranza con base al di fuori del Regno Unito. Veloce elenco, senza entrare nel dettaglio delle singole situazioni: Arsenal, Crystal Palace, Liverpool, Manchester United, Sunderland e Swansea City (Stati Uniti), Bournemouth e Chelsea (Russia), Hull City (Egitto), Leicester City (Thailandia), Manchester City (Emirati Arabi), Southampton (Svizzera), Watford (Italia, cioè la famiglia Pozzo). Soltanto il West Bromwich Albion ha una proprietà cinese, dallo scorso settembre: il costruttore Guochuan Lai ha tirato fuori per questo club di secondo piano l'equivalente di 200 milioni di euro. Almeno ufficialmente si tratta di un investitore privato, per quanto il capitalismo cinese abbia caratteristiche uniche (è comunque e sempre su concessione statale, anche quando riguarda frigoriferi o caramelle), mentre di altra natura è il 13% di minoranza del Manchester City (è di due finanziarie, di cui una dichiaratamente dello stato cinese). Insomma, 14 club di Premier League su 20 sono di proprietà straniera e fra quelle che definiremmo 'grandi' soltanto Tottenham, West Ham ed Everton (Farhad Moshiri è nato in Iran, ma la sua famiglia lasciò il paese prima della caduta dello Scià) possono essere considerate britanniche.
Tornando al Milan, come ricostruito da Pietro Guadagno sul Corriere dello Sport di oggi rimangono senza risposta tutti gli interrogativi e addirittura non si capisce nella cordata chi sia socio e chi finanziatore. Nostra considerazione: se Yonghong Li e gli investitori nella Sino Europe (due, cinque o sette a seconda delle fonti) in tutti questi mesi hanno fatto fatica a tirare fuori 200 milioni di caparra, per comodità di ragionamento consideriamoli soldi loro, non si capisce perché abbiano scelto un club italiano (per quanto prestigioso) in rosso fisso invece che agganciarsi, sia pure a livello medio-basso, alla ricca Premier League. Senza contare che la trattativa per il WBA, dalla prima manifestazione di interesse al closing, è durata un mese e mezzo e che Guochuan Lai ha tutti i suoi interessi in Cina: ma evidentemente ha canali preferenziali per le mitiche 'autorizzazioni'.