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Il primo scudetto di Lotito

Il primo scudetto di Lotito

Redazione

23.12.2015 ( Aggiornata il 23.12.2015 11:29 )

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Non abbiamo sinceramente capito se la Lazio abbia intenzione di chiedere l'assegnazione dello scudetto 1914-15: allo stato attuale risulta di no, ma la petizione popolare con destinatario la FIGC ha raccolto oltre trentamila firme e di sicuro Lotito dovrà tenerne conto. Nostra opinione: la richiesta è tirata per i capelli sul piano sportivo ma giustificata su quello del diritto, quindi un'assegnazione ex aequo del titolo con il Genoa ci starebbe. I fatti sono arcinoti, ma li sintetizziamo lo stesso: all'epoca la serie A (peraltro chiamata 'Prima Categoria') era ben lontana dall'essere a girone unico, ma si articolava su più raggruppamenti regionali e interregionali, con una fase finale definita 'nazionale' ma in realtà riservata soltanto alle squadre del Nord, tale era il divario organizzativo e tecnico con il resto d'Italia. Alla fine di tutto questo delirio di partite e di formule che cambiavano da un anno all'altro c'era però una finale fra la vincitrice del campionato maggiore e la squadra uscita dal Centro-Sud, anche quell'anno (dopo avere straperso nel 1913 con la Pro Vercelli e nel 1914 con il Casale) la Lazio, ma l'entrata in guerra dell'Italia il 24 maggio impedì il completamento anche della fase precedente, che venne 'sospesa' in attesa di istruzioni. Nell'ultima giornata, prevista per il 23 maggio, teoricamente il Genoa capolista avrebbe potuto essere agganciato, nel girone finale del campionato maggiore, sia dal Torino (che affrontava proprio il Genoa a Genova) che dall'Inter (che aveva il derby). Quindi il Genoa nemmeno aveva completato il suo iter per così dire nordista... L'assegnazione del titolo ai rossoblu fu travagliata ed avvenne soltanto nel 1921, con nessuno a protestare anche perché i 6 anni passati sembravano 600. Poi è vero che la Lazio dell'epoca non avrebbe senz'altro vinto con Genoa, Torino o Inter, ma ragionando così non si dovrebbero disputare metà delle partite. Visto che quella fu un'assegnazione di guerra, non sarebbe quindi sbagliato dare anche alla Lazio quel titolo, usandolo come pretesto per ricordare i caduti (tanti i calciatori, anche delle squadre citate) di tutte le regioni d'Italia in maniera non retorica ma proprio per questo comprensibile. Caduti non certo per 'cedere sovranità'. Il nuovo Milan sta nascendo a Miami, ormai terra promessa di calciatori ed ex calciatori italiani, molti dei quali cointeressati in locali e attività imprenditoriali varie. Il neonato Miami FC, che parteciperà alla NASL (solo omonima della storica lega di Pelé e Chinaglia), è di proprietà del fondatore di Milan Channel Riccardo Silva (fra l'altro venditore dei diritti esteri della serie A) e di Paolo Maldini, in più sarà allenato da Alessandro Nesta al suo esordio in panchina. Nesta che al sito Omnisport ha parlato del Milan come di una società disorganizzata e con una mentalità sbagliata, che non è stata capace di rimanere grande una volta che il suo presidente ha smesso di tirare fuori cifre enormi. Un presidente che durante un incontro con militanti di Forza Italia, nel solito cazzeggio a margine che ha fatto la gioia di tanti giornali, ha sostenuto di avere speso quest'anno 150 milioni per il Milan (non è però vero), dispensando battute sul livello della rosa (bella quella su Cerci) e nessun complimento a Mihajlovic, il cui orizzonte al di là del contratto non arriverà oltre maggio. Senza giri di parole: Berlusconi non licenzierà mai Galliani e non soltanto per la buonuscita monstre, però le condizioni perché se ne vada ci sono tutte. Con un esercito di grandi ex, non soltanto quelli citati (vogliamo dire anche Albertini? E c'è Shevchenko, amatissimo da Berlusconi, che dopo un periodo di decompressione vuole rientrare nel calcio), pronti alla porta. Per evitare la fuga dei lettori dal sito del Guerino abbiamo finora evitato di parlare delle elezioni del nuovi presidente della Lega Pro, nonostante alcuni dirigenti (anche votanti) abbiano nelle scorse settimane diffuso scenari di vario tipo. Meno male, perché questi scenari erano tutti sbagliati e Gabriele Gravina ha stravinto contro il candidato di Lotito, cioè l'ex segretario del CONI Raffaele Pagnozzi, e quello del mondo renziano Paolo Marcheschi, sostenuto da Francesco Ghirelli già sostenitore di Gravina. Ma al di là dei programmi tutti uguali e dello scarso interesse per una categoria agonizzante, per noi popolo bue in sostanza cosa cambia? Prima di tutto il 17% di peso nel consiglio FIGC detenuto dalla Lega Pro adesso è gestito in maniera formalmente indipendente, in ogni caso non più in maniera organica al gruppo Infront-Tavecchio-Galliani-Lotito-Preziosi. Evidenti gli effetti sulla federazione, ma anche sulle leghe maggiori. In secondo luogo Gravina ha basato la sua campagna elettorale sui rapporti personali con i presidenti, al contrario dei due avversari paracadutati dall'alto, promettendo di lavorare sia per riportare la categoria a 60 squadre dalle attuali 54 sia per ottenere sgravi fiscali di ogni tipo e nuovi parametri di bilancio. Traduzione: il calcio di Lega Pro non è sostenibile con i soli ricavi che genera, occorre tornare a certe logiche della vecchia serie C per attirare capitali locali. Come i vari calcioscommesse hanno insegnato, avere qualcuno che paghi regolarmente gli stipendi è più importante che avere bilanci trasparenti. Il calcio di provincia, che da ex presidente del Castel di Sangro Gravina conosce nelle sue pieghe, non ha soltanto cifre ma anche logiche differenti da quello di serie A. Twitter @StefanoOlivari

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